by Editore | 25 Agosto 2012 9:03
Pop star e divi del cinema hanno l’autorevolezza che fu degli intellettuali e il potere dei capi di stato: nella classifica di Forbes delle cento donne più influenti del pianeta Angelina Jolie occupa un posto fra Angela Merkel e Sonia Gandhi alla categoria “benefattrice”. Si occupa di bambini. Il potere essendo responsabilità è difatti piuttosto importante, per chi mette la sua fama al servizio di una causa, stabilire che cosa si vuole promuovere oltre se stessi. “Chi aiuta chi”, titolava giorni fa con leggerissima ambiguità di senso un settimanale inglese a proposito di star e associazioni benefiche. Colin Firth ha scelto il dissenso. Promuove la voce di chi non ha voce. L’altra storia: quella che la cronaca chiama delitto.
Apre il suo computer e scorre la lista dei testi che conosce a memoria. Le ultime parole di un condannato a morte, un discorso di Bobby Sands, la lettera ai figli della donna che non volle abiurare al suo credo religioso, il Sir Thomas More di Shakespeare, il testo scaricato l’altro giorno da Youtube dell’invettiva di una ragazza senza lavoro. Le parole del dissenso, in ogni tempo. “Sono figlio di un professore di storia, ho studiato i testi classici e ho avuto nella vita la ventura di interpretare in teatro molte storie di re. Anche al cinema i re hanno avuto e hanno qualche popolarità ” – sorride – “Ho tratto grande gioia nell’esercizio di prestare la mia voce e il mio corpo ai sovrani, gioisco ora del contrario”. Il contrario sono le parole della gente, socialisti anarchici agitatori studenti donne senza nome, le voci che salgono dal basso. Voci contro. “La storia non è qualcosa che sta negli scaffali della libreria, la storia è fuori per strada”.
“The people speak”: così si chiama il progetto e lo spettacolo che Colin Firth, premio Oscar per Il discorso del Re, produce dirige e per una parte interpreta a teatro. La voce di chi ha detto no, le ragioni del popolo. Uno spettacolo “virale”: è nato in America dal lavoro fortunatissimo dello storico Howard Zinn, l’autore da poco scomparso della monumentale Storia popolare degli Stati Uniti.
E’ stato importato a Londra l’anno scorsonda Firth e dall’agente letterario Antony Arnove, sostenuto da History Channel, tradotto in libro e in dvd. Fra poco più di due settimane sarà di nuovo in scena a Notting Hill, altri interpreti e altri testi. A fine gennaio arriverà in Italia, all’Auditorium di Roma, prodotta da Livia Giuggioli Firth, la moglie italiana di Colin, e da suo fratello Alessandro: in una versione naturalmente originale con brani tratti dalla storia popolare del nostro paese.
La data di Londra è il 16 settembre, sette di sera. Al Tabernacle di Nottingh Hill insieme a Firth saliranno sul palco il grande Ian McKellen, Rupert Everett, Anna Chancellor (Quattro matrimoni e un funerale), il cantante Tom Robinson, il gruppo The Unthanks, Stephen Rea (V per vendetta), Emily Blunt (Il diavolo veste Prada) e molti altri autori e interpreti di grande successo. L’idea è che la popo-larità degli interpreti renda popolari anche parole altrimenti destinate a restare sconosciute o ad essere dimenticate, dice Colin. “Qui gli attori sono chiamati non a fare da volto, da sponsor di qualcuno o di qualcosa, non ad abbracciare una
causa. Devono fare piuttosto esattamente il loro lavoro, quello per cui sono normalmente pagati, se hanno imparato a farlo: leggere e interpretare le parole di altri”. I testi scelti, aggiunge, sono da considerarsi
un esempio, un “menu degustazione”: “Vanno dal 1500 ad oggi e non abbiamo nessuna ambizione di aver fatto una selezione completa, al contrario. I brani sono stati scelti perché ci sono piaciuti. Grandi quantità di materiale sono state lasciate fuori. Spero che molti siano spinti a farlo notare e compilare un altro elenco, e poi un altro. Soprattutto spero che queste parole possano servire di ispirazione per spingere ciascuno a far sentire la sua voce sulle questioni che gli stanno a cuore. La democrazia è uno sport che non prevede spettatori”.
La selezione “incompleta e arbitraria” delle voci del dissenso nella storia inglese va da Shakespeare ai Monty Phyton, dalla “grave indecenza” del processo ad Oscar Wilde alla testimonianza anonima di una lesbica negli anni ’50, le parole del pastore protestante Gerrald Winstanley, l’arringa contro lo schiavismo dell’avvocato Robert Wedderburn, nato nell’800 in Giamaica, il discorso sullo sciopero del laburista Ben Tillet, 1911, la ballata del cantautore Frank Higgins sulla ragazzina che lavora in miniera, James Connoly sulla causa irlandese, la suffragetta Emmeline Pankhurst sul voto alle donne, Virginia Woolf nella stanza tutta per sé, Elvis Costello, Harold Pinter, le note di Glad to be Gay di Tom Robinson.
Nel volume che Canongate ha pubblicato coi testi dello spettacolo dell’anno scorso Colin Firth ha scritto, nella prefazione: “Molte delle vere storie di Inghilterra mi si sono rivelate attraverso piaceri colpevoli. La musica che non avrei dovuto ascoltare, la battuta alla quale non avrei dovuto ridere, il libro che non avrei dovuto leggere. Storie spesso scritte da uomini e donne che non avevano nessun potere politico, che furono imprigionati, torturati, condannati e a volte uccisi per le loro parole e le loro azioni finché alla fine le loro idee sono state adottate e sono arrivate fino a noi come diritti fondamentali. Queste libertà sono ora sotto la nostra responsabilità di cura. Se non lavoriamo su di loro saranno perse molto più facilmente di quanto non siano state guadagnate”. Perché la democrazia è uno sport che non prevede pubblico, appunto. Uno show dove non c’è posto per gli spettatori.
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/08/il-discorso-del-popolo/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.