Il dilemma: ozono o clima?

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Il trattato è riuscito negli anni a ridurre del 97 per cento il consumo e dunque la produzione di gas industriali che erano veri e propri killer per la fascia dell’ozono: i Cfc (clorofluorocarburi), e gli Hcfc (idroclorofluorocarburi) ampiamente utilizzati come refrigeranti. Ci sono state ricadute positive anche sulla protezione del clima, poiché lo strato di ozono è in grado di bloccare una quantità  di radiazioni che altrimenti contribuirebbero al riscaldamento dell’atmosfera: secondo i calcoli grazie al protocollo è come se nel solo 2010 ci fosse stato un taglio equivalente a dieci miliardi di tonnellate di gas serra. 
Ma le sostanze che hanno sostituito i gas nocivi all’ozono, gli idrofluorocarburi (Hfc), sono potenti gas serra e hanno un crescente impatto in termini di riscaldamento del clima. Utilizzati in molti prodotti e strumenti, dai refrigeratori agli aerosol, sono la classe di gas serra che cresce più velocemente e la situazione è critica: se non si fa qualcosa per frenarli (anzi sostituirli), gli Hfc potrebbero arrivare nel 2050 a essere responsabili di oltre il 20% del riscaldamento globale. 
Alcuni stati sono d’accordo sulla necessità  di emendare il Protocollo di Montreal per comprendervi gli Hfc e metterli al bando. Se ciò avvenisse si potrebbe risparmiare, da qui al 2050, l’emissione di 100 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. Ma India, Cina e Brasile fanno resistenza (per non dire delle aziende, in testa anche quelle occidentali), sostenendo che la cosa non c’entra con la protezione dell’ozono. Il che è vero, come è vero però che la crescita esponenziale dell’uso degli Hfc è diretta conseguenza del trattato, i cui firmatari, dunque, devono trovare alternative sostenibili. Ma come sempre, gli interessi economici tendono a prevalere. 
Alla recente conferenza di Rio de Janeiro sullo sviluppo sostenibile (Rio+20), lo scorso giugno, la comunità  internazionale ha riconosciuto nel documento finale che «la messa al bando delle sostanze nemiche dell’ozono ha provocato un rapido aumento nell’utilizzo e nel rilascio in atmosfera di gas ad alto potenziale climalterante» e si è impegnata a sostenere «una fuoriuscita rapida dalla produzione e dal consumo degli idrofluorocarburi». 
Secondo gruppi ambientalisti il Protocollo ha sia l’autorità  legale, sia la capacità  tecnica sia quella di mobilitare risorse finanziare per arrivare a un risultato equo. 
Le alternative agli Hfc sono molte in tutti i settori, e fra le operazioni di difesa del clima, questa sarebbe fra le più economiche e fattibili. Greenpeace promosse molti anni fa il Greenfreeze inventato da una piccola azienda della Germania dell’Est. E oggi nel mondo i frigoriferi Greenfreeze superano i 650 milioni e, solo in Cina, coprono il 75 per cento del mercato. E’ tecnologia che rappresenta il 40 per cento della produzione globale e che entro il 2020 arriverà  all’80 per cento. Se per il settore dei frigoriferi la tecnologia Greenfreeze è in crescita, per quello dei condizionatori stenta a decollare. La mancanza di standard di emissione adeguati, infatti, unita al boom del comparto del condizionamento dell’aria – specialmente in Cina dove il condizionatore è diventato uno status symbol – fa sì che il comparto incida fortemente sulle emissioni di gas serra in atmosfera.
Greenpeace chiede che a tutte le tecnologie del freddo sia imposto uno standard di protezione del clima, eliminando i composti fluorurati.


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