Il caso Alcoa apre l’autunno
Il giorno più caldo dell’anno annuncia la temperatura sociale dei prossimi mesi. Una «folta delegazione» di lavoratori dell’Alcoa di Portovesme, in Sardegna, ha raggiunto ieri mattina con un corteo di auto la rotonda stradale di ingresso all’aeroporto di Cagliari Elmas, bloccandola per circa due ore e mezza. L’iniziativa è stata decisa al termine di un’assemblea iniziata alle 5,30 di mattina nello stabilimento. La polizia è intervenuta, limitandosi però a controllare a breve distanza il gruppo di lavoratori (almeno 300) che con petardi, fumogeni, striscioni e slogan rendeva impossibile il traffico in entrata e uscita dall’aeroscalo. Gli operai hanno volantinato a lungo, spiegando le ragioni della protesta a quanti dovevano prendere l’aereo o ne erano appena scesi. Si è formata una coda di auto di quasi un chilometro, e molti passeggeri in partenza hanno preferito abbandonare le auto sul ciglio della strada e raggiungere a piedi il terminal. Quando sembrava che gli agenti fossero sul punto di caricare, i lavoratori hanno smantellato il presidio, ammonendo di essere pronti a tornare in qualunque momento.
La vertenza è iniziata in gennaio, quando la multinazionale statunitense – il primo produttore mondiale di alluminio – ha annunciato la riduzione del 5% della sua produzione globale, che in Europa significa la chiusura di uno dei due stabilimenti spagnoli e dell’unico presente in Italia. La decisione non era stata presa affatto bene la dipendenti e sindacati. 500 i lavoratori direttamente alle dipendenze della multinazionale, altrettanti nell’indotto dell’area industriale di Portoscuso; in totale il 25% degli occupati in un territorio che da anni vede solo dismissioni e zero investimenti. È questa condizione generale che ha fatto immediatamente salire la tensione tra i lavoratori, come ha potuto sperimentare in diretta tv l’ex ministro leghista Giancarlo Castelli (in studio da Michele Santoro), tacitato per le spicce da un delegato di un’altra fabbrica chiusa nella zona – l’Euroallumina – peraltro iscritto di un sindacato altrove decisamente più docile: la Cisl. Già in febbraio una manifestazione arrivata fino a Roma, sotto la sede del ministero dello sviluppo, era stata attaccata dalla polizia che tirava manganellate senza tanti complimenti.
Gli stessi sindacalisti in piazza ieri mattina, non hanno certo fatto mistero di non saper più come gestire una vertenza bollente. «Non siamo più in grado di tenere la situazione sotto controllo – ha spiegato qualcuno di loro in chiaro affanno – Gli animi sono esasperati, ogni momento è buono per tornare in piazza. Finora siamo riusciti a coordinate tutte le azioni di protesta, ma i lavoratori non ce la fanno più, è una pentola a pressione pronta a esplodere».
Più flemmatica la Fiom, che certo ha maggiore confidenza con i conflitti aspri. Ha invitato l’Alcoa «a non venire meno agli impegni assunti il primo agosto scorso al ministero dello Sviluppo economico». Al ministero dello sviluppo spetta infatti «la ricerca di nuovi investimenti industriali che siano in grado di dare una prospettiva allo stabilimento di Portovesme e al settore dell’alluminio». Mentre Alcoa «deve riaffermare la disponibilità espressa in quella sede a mantenere attivi gli impianti, pur in un quadro di programmata riduzione dell’attività degli stessi, fino al 31 dicembre, salvaguardando l’occupazione di tutti i lavoratori».
Il problema è che il possibile acquirente individuato inizialmente – il gruppo tedesco Aurelius – ha fatto ben presto marcia indietro. Il ministero sta verificando l’interessamento – che sembra già svanito – del fondo di investimento Klesh; ma soprattutto della multinazionale svizzera Glencore. Il tempo passa, e il timore dei lavoratori di trovarsi nella stessa situazione degli operai di termini Imerese (dove pure è scomparso l’investitore) aumenta. E con questa paura anche la tensione. Stamattina si riunisce il coordinamento Rsu per decidere ulteriori azioni di protesta.
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