by Editore | 26 Agosto 2012 15:58
Domani, ciclone Isaac permettendo, si apre a Tampa (Florida) la Convention repubblicana che sancirà ufficialmente una scelta già vecchia di mesi, quella del mormone Mitt Romney (65 anni) come candidato alla presidenza degli Stati uniti, e un’altra che data di poche settimane, quella del deputato del Wisconsin Paul Ryan (42 anni) alla vicepresidenza.
Poiché tutti i giochi sono fatti e, come accade ormai da 36 anni, l’esito è scontato, l’interesse della Convention sta più nella scelta della sua ubicazione che nel suo svolgimento. Perché mai i repubblicani hanno deciso quest’anno di riunire in Florida i loro 2.286 delegati titolari e 2.125 delegati supplenti? E perché la settimana successiva i democratici si ritroveranno a Charlotte in North Carolina?
Negli ultimi decenni i due partiti hanno sempre scelto di tenere il proprio congresso in stati «in bilico», in stati in cui nelle precedenti elezioni avevano perso o vinto di poco. La Florida è per i repubblicani un caso esemplare poiché nel 2000 qui si giocò la drammatica vicenda (e il golpe istituzionale dei giudici conservatori della Corte suprema) del riconteggio dei voti e dell’attribuzione dello stato a George W. Bush a scapito del democratico Al Gore, mentre nel 2004 la Florida votò massicciamente per Bush prima di ribaltarsi nel 2008 a favore di Obama. Ma governatore della Florida è tutt’oggi Jeff Bush, il fratello di George W., che sarà l’unico esponente legato alla precedente amministrazione repubblicana a partecipare alla Convention: infatti sia Bush padre che Bush figlio che Dick Cheney (che è stato per 8 anni vicepresidente con George W. Bush jr.) hanno annunciato che non verranno a Tampa. Forse ancora più significativa è l’assenza della ex first lady Laura Bush ancora estremamente popolare tra i repubblicani e influente sul partito.
Ma la Florida è uno stato «in bilico» anche sotto altri versi. Intanto lo è dal punto di vista demografico. Con il 18% di popolazione latina, quanto a numero di ispanici è il secondo stato della costa est (dopo New York a causa dei portoricani che vi risiedono). E gli ispanici sono uno dei gruppi elettorali che i repubblicani si stanno sistematicamente alienando da un paio di decenni con una politica sempre più «leghista» e xenofoba. Con un paradosso, e cioè che quanto a «valori» i latini sono più vicini ai repubblicani che ai democratici, poiché per il machismo nella loro cultura prevale l’omofobia, l’opposizione all’aborto, la diffidenza verso l’emancipazione femminile (per non parlare del femminismo). Ma poiché da anni i repubblicani si distinguono per il razzismo anti-latino e per le politiche di deportazione oltre frontiera degli indocumentado, quasi dovunque negli Usa i latinos si sono spostati massicciamente sui democratici. Quasi ovunque, e cioè non in Florida, dove l’emigrazione ispanica è a prevalenza cubana: il nucleo duro vi è infatti formato dagli exilés cubani scappati dall’isola quando il castrismo rovesciò la dittatura di Fulgencio Batista.
Perciò da domani la tribuna della Convention sarà una passerella di ispanicità , a cominciare dall’astro nascente del partito repubblicano, quel Marco Rubio (41 anni) che proprio della Florida è senatore. E l’aspirante First Lady, Ann Romney, sarà introdotta sul podio da Lucé Vela Fortuà±o, la First Lady di Puerto Rico (il marito Luis Fortuà±o parlerà l’indomani).
La Florida è decisiva per i repubblicani anche per due altri motivi: il primo è che in Florida c’è un’alta percentuale di popolazione ebraica (per lo più ebrei newyorkesi pensionati) 639.000 ebrei su 18,8 milioni di abitanti, il 3,4 %, la più alta percentuale dopo lo stato di New York (8,4) e il Massachusetts (4,2%): il Grand Old Party (Gop) spera in queste elezioni di operare un definitivo (e clamoroso) ribaltamento del voto ebraico negli Usa, che per quasi un secolo è andato massiccio (ma negli ultimi anni sempre più tiepido) ai democratici. Non sembra casuale che il più generoso finanziatore della campagna di Mitt Romney sia il magnate dei casinos di Las Vegas, Sheldon Adelson, proprietario della Las Vegas Sand Corporation, la cui fortuna è stimata a 24 miliardi di dollari. Adelson è sostenitore convinto del governo israeliano di di Benjanin «Bibi» Netanyau, è proprietario del quotidiano gratuito Israel HaYom, il più diffuso d’Israele, e a luglio ha accompagnato Romney a Gerusalemme per raccogliere fondi per la campagna. Ma che Israele stia facendo di tutto per liberarsi di Barack Obama è chiaro anche da altri segnali: per esempio, un sito ufficioso del Mossad fa ormai apertamente campagna contro Obama.
Il fatto che la maggioranza degli ebrei residenti in Florida siano pensionati ci conduce all’ultima ragione per cui questo stato è così importante per i repubblicani, e cioè proprio la questione degli anziani. La Florida è considerata il cronicario degli Stati uniti con 3,4 milioni di abitanti sopra i 65 anni (il 17,5 % della popolazione) e con ben un milione e mezzo di veterani, cioè di pensionati delle forze armate: d’altronde la fortuna della Florida come meta di riposo e villeggiatura fu determinata proprio dall’esercito Usa che durante la seconda guerra mondiale vi mandava i propri soldati in convalescenza.
Ora gli anziani sono il gruppo nevralgico per le elezioni presidenziali perché l’astensionismo per i sopra 65 anni nel 2008 era solo del 30% confrontato a un astensionismo del 68 % tra i 18-24 anni (eppure il 2008 vide un’affluenza straordinaria dei giovani motivati dal fenomeno Obama).
Senza gli anziani non si vincono le elezioni. Ed è questa la ragione della straordinaria fortuna del Tea Party composto soprattutto da ultrasettantenni: furono loro a insorgere nel 2009 contro la riforma sanitaria di Obama perché furono indotti a credere che il nuovo sistema penalizzasse il precedente Medicare riservato proprio ai sopra 65, che costituisce a tutt’oggi l’unico servizio sanitario pubblico efficiente degli Stati uniti (e la ragione sta proprio nell’eccezionale importanza elettorale dei sopra 65 anni).
Ma il Tea Party rischia di trasformarsi in un boomerang per Romney. Da un lato perché i «sorseggiatori di tè» lo considerano un voltagabbana (qui si dice un flip-flop, che significa anche «ciabatta infradito»): infatti quando era governatore del Massachusetts Romney varò una legge sanitaria molto più «a sinistra» di quella di Obama, anche perché alla sua redazione aveva partecipato il senatore Ted Kennedy. Il Tea Party considera (a ragione) Romney un opportunista che cambia idea a ogni stormir del vento, e diffida istintivamente di un mormone (l’unica religione nuova e americana ma non cristiana). E proprio questa diffidenza ha spinto Romney a scegliersi come vice Paul Ryan, perché è giovane, belloccio, si presenta bene e soprattutto è gradito al Tea Party. La Convention di Tampa sarà un buon termometro per capire se questa scelta del candidato vicepresidente riuscirà a scaldare il tiepido appoggio del Tea Party.
Ma Romney corre anche il rischio opposto, quello che il Tea Party lo trascini talmente a destra da spaventare tutti gli elettori moderati. Ed è per questo che alla Casa Bianca hanno brindato quando hanno saputo della scelta di Paul Ryan. Un pericolo che è esemplificato dalle dichiarazioni del deputato del Missouri Todd Akin, secondo cui il corpo delle donne sarebbe miracolosamente in grado (forse con la kriptonite) di sterilizzare lo sperma dello stupratore, tanto da imbarazzare lo stesso Paul Ryan che pure aveva firmato con Akin vari disegni legge anti-abortisti.
Che la festa cominci. A meno che il ciclone Isaac (di biblica ascendenza) in avvicinamento dall’Atantico non costringa a evacuare i 350.000 cittadini di Tampa e i 40.000 e passa convenuti per la Convention: i 4.500 delegati, i loro famigliari, i circa 15.000 giornalisti e operatori dei media accreditati, oltre alle non quantificate migliaia di contestatori di Occupy Wall Street che da domani insceneranno manifestazioni sperando di avvicinarsi al centro congressi. Noi tifiamo per Isaac, à§a va sans dire
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