Il “balaklava” ha invaso le piazze dell’Occidente
PARIGI — Era stato inventato durante la guerra di Crimea per proteggere il volto dei soldati inglesi dal “Generale Inverno”. Il cappuccio apparso quasi due secoli fa, durante il conflitto tra l’impero russo e quello ottomano con i suoi alleati europei, è diventato il simbolo di un’altra battaglia. Fucsia, viola, giallo, verde, meglio se con toni accesi. Un caleidoscopio del dissenso. Di lana anche se fa caldo, tagliato artigianalmente in una maglietta di cotone, o ancora in tessuto acrilico, come quello di sciatori e alpinisti. Nella sua ultima versione punk e ribelle il “balaklava”, dal nome della città ucraina nella quale combatteva all’epoca l’esercito britannico, ha invaso le piazze occidentali. Da Parigi a Washington, nei raduni organizzati e nei flash-mob, è il tratto distintivo della solidarietà internazionale con le Pussy Riot. Il passamontagna è stato indossato da Madonna durante un concerto e pure dal sindaco di Reykjavik. Ce l’avevano i manifestanti che issavano venerdì i cartelli “Free Pussy Riot” davanti al centro Pompidou, di fronte all’ambasciata russa di Berlino e Melbourne. Si ricorre alla fantasia per fabbricare questo cappuccio, ognuno ne rimedia uno con quel che ha in casa. Basta un vecchio pezzo di stoffa, delle forbici. Semplice e immediato. Mentre le ragazze aspettavano in aula la sentenza del processo, alcuni attivisti hanno avuto l’idea di incappucciare diverse statue di Mosca. La pagina web che raccoglie petizioni e notizie sul gruppo russo è composta da un mosaico di volti incappucciati e multicolori. Strano destino per questo indumento, usato soprattutto dalle forze speciali ma anche da criminali ed eroi di fumetti come Diabolik. Il passamontagna serve a garantire l’anonimato. Nel caso delle Pussy Riot non ha funzionato. Le ragazze sono state identificate e fermate qualche giorno dopo il loro ultimo blitz contro Putin. Ma intanto il balaklava si è trasformato in una maschera universale, accompagna la nuova protesta che monta contro il regime russo e l’assurda condanna inflitta alle tre giovani punk. Rende quasi invincibile il messaggio delle oppositrici ormai imbavagliate. Le facce incappucciate che sono apparse furtivamente nella chiesa moscovita Cristo Salvatore il 21 febbraio scorso, dovrebbero essere svanite, ormai recluse in una prigione. E invece si sono moltiplicate. Ormai si vedono ovunque. Una e centomila Pussy Riot. Ancora più dei bei volti delle giovani attiviste, è questo il marchio di una mobilitazione senza confini. Non è la prima volta che un capo di abbigliamento viene associato a un movimento politico. È successo con l’eskimo, il giaccone dei militanti di estrema sinistra negli anni Settanta, poi con la kefiah per la lotta del popolo palestinese. In tempi recenti, i ragazzi di Occupy Wall Street e il movimento degli indignati hanno manifestato con la maschera di V per vendetta. Ma il successo del balaklava arcobaleno rappresenta una sorta di beffa al pugno di ferro imposto da Vladimir Putin. Le Pussy Riot hanno spiazzato i codici dell’opposizione, dirottando il messaggio per comunicare meglio la censura del regime. Hanno provocato un’internazionale situazionista che il presidente russo non poteva prevedere. Il trio punk, grinta dietro a facce d’angelo, vestite da dure come un corpo d’élite a carnevale, sembra fatto apposta per mandare in crisi la forza bruta al governo. Sono state impertinenti persino rispetto a un femminismo tradizionale, decidendo di chiamarsi con quel nome, Pussy Riot, ammiccante ed esplicito quanto basta. Volevano restare invisibili. Il balaklava non le ha protette abbastanza. A Mosca c’è l’estate, e fa freddo.
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