I profughi siriani diventano una retrovia della guerra civile

by Editore | 23 Agosto 2012 9:00

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Il presidente del governo regionale kurdo-iracheno Massoud Barzani ha dichiarato ufficialmente che i combattenti peshmerga addestreranno i kurdi siriani rifugiati in Iraq, perché difendano le città  della Siria del nord in cui sono maggioranza. In Turchia, nei campi allestiti dal governo turco per assistere i profughi siriani, si raccolgono anche i disertori e si trovano anche le retrovie militari dell’Esercito libero siriano. In Libano intere zone del nord servono da base logistica per l’opposizione siriana, alcuni ospedali curano i feriti in battaglia, molti villaggi accolgono le famiglie dei combattenti. In Giordania da mesi si accalcano sia profughi che disertori, prima detenuti in un campo a Salt e ora convogliati in un campo in pieno deserto.
La situazione di questo campo profughi, a Za’atari, sta diventando esplosiva. Dall’inizio di agosto ci vengono portati con la forza tutti i rifugiati siriani in arrivo in Giordania. E’ un luogo isolato, attraversato da tempeste di sabbia, pieno di scorpioni, guardato a vista dai militari. Pochi giorni fa le unità  anti-sommossa delle esercito giordano sono intervenute per sedare una rivolta interna: molti rifugiati volevano scappare. A soli 15 giorni dall’apertura sono stati già  segnalati i primi casi di molestie sessuali sulle rifugiate siriane, già  traumatizzate dalla fuga. In Siria in molti preferiscono rimanere sotto le bombe che finire in quest’inferno. 
Un inferno però che la comunità  internazionale, e alcune Ong, hanno troppo frettolosamente accettato come l’unica soluzione possibile offerta dal governo giordano per accogliere i rifugiati. Non è chiaro il motivo di questa scelta, dato che a pagare è la comunità  internazionale e che la Giordania ha accolto in passato mezzo milione di iracheni nelle sue città . Del resto oggi più di 120mila rifugiati siriani sono ospiti nel territorio del regno hashemita. Molte organizzazioni umanitarie infatti lavorano faticosamente nelle città  giordane per garantire ai siriani un’accoglienza dignitosa, fuori dai campi. Perché dunque portare i profughi in mezzo al deserto? Fonti giordane ipotizzano che il campo di Za’atari sia uno strumento al servizio del conflitto siriano: un campo in cui controllare meglio le persone, a discapito di qualsiasi valutazione sulla protezione dei diritti umani e dei più vulnerabili. Un campo utile a contenere migliaia di siriani, soprattutto se ci sarà  un intervento internazionale, che potrebbe passare non solo dalla Turchia ma anche dal sempre più saudita regno giordano. 
Sono proprio i sauditi infatti, con le loro organizzazioni caritatevoli, a egemonizzare gli aiuti ormai da un anno a questa parte. Sono stati i protagonisti di ogni tipo di distribuzioni, soprattutto durante il Ramadan: dal cibo ai contanti dati direttamente ai rifugiati e alle loro famiglie. Il re saudita ha raccolto in 3 giorni 62 milioni di dollari per i profughi siriani, quanti ne ha raccolti l’Onu in 6 mesi. E infatti l’Onu arranca perché è sottofinanziata dall’occidente, troppo impegnato a spendere i pochi fondi disponibili per sostenere il conflitto. Poche Ong occidentali si sono mosse, molte in ritardo e solo quando la crisi è peggiorata ed è diventata sufficientemente finanziata e mediatizzata per parlarne. Le organizzazioni giordane, libanesi ed irachene al contrario si sono da subito date da fare, senza clamori e pubblicità , ma con un lavoro di assistenza quotidiana. Non si tratta solo organizzazioni religiose ma anche laiche, consapevoli dell’importanza di esserci e di assistere le centinaia di migliaia di rifugiati siriani di cui la maggioranza donne e bambini che, come sempre, sono vittime travolte da una tragedia e hanno solo la speranza di rientrare nelle loro case il prima possibile. 
Il numero dei rifugiati è in costante aumento e a oggi l’Onu ne ha registrati 157.000, ma contando quelli non registrati sarebbero più di 300.000. 
Ma la logica dei campi profughi sta diventando uno degli strumenti per gestire le retrovie. Non è un caso che la Turchia li abbia allestiti da subito, un anno fa, e dati in gestione alla Mezzaluna Rossa controllata dal governo. L’Iraq ne stia allestendo diversi e la Giordania prevede di rinchiudere 150.000 persone nel campo di Za’atari. Il protrarsi della crisi potrebbe rendere i rifugiati un altro degli strumenti del conflitto.

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