by Sergio Segio | 19 Agosto 2012 8:12
Ne troviamo, purtroppo, esempio talvolta anche sulla nostra più autorevole stampa «progressista» che, pure, afferma di voler contribuire a creare un’opinione pubblica matura. L’esempio delle dichiarazioni di Schneider calza a pennello. Sui giornali e siti italiani ha trovato spazio nei giorni scorsi una notizia inquietante: anche la Spd, per bocca del citato Schneider, sposa una linea «non più solo rigorista, ma al dunque anche potenzialmente anti-europeista». Lo scrive il 17 agosto il vicedirettore di Repubblica , Massimo Giannini, in un editoriale dai toni allarmati, nel quale si produce in un’apologia del montismo da fare invidia agli specula umanistici sulle virtù del Principe. La linea è chiara: non solo la destra (gli euroscettici di lunga data), ma anche la sinistra (vedi il deputato Spd) è ormai sulla china del populismo antieuropeo, da cui possiamo salvarci soltanto affidandoci ora e sempre alla sapienza tecnica e alla saggezza politica di Mario Monti, in accordo con la prudente centrista Angela Merkel, vittima in patria di un «assedio bipartisan». Peccato che questo ragionamento si fondi su un presupposto inesistente: che la Spd stia assumendo una linea «non più solo rigorista, ma al dunque anche potenzialmente anti-europeista». Chi sa il tedesco può godere del privilegio di scoprirlo da sé. In alternativa, dovrebbero essere gli organi di informazione ad aprire le porte sulla realtà , senza che l’ansia di interpretarla per «dare la linea» la trasfiguri fino a tal punto. Se ci si prende la briga di leggere per intero l’intervista concessa da Schneider (il 14/8) si scopre che di quel populismo neo-nazionalista non c’è traccia. I socialdemocratici tedeschi, come i socialisti francesi e spagnoli, sono certamente piuttosto moderati, ma hanno una caratteristica che non garba ai fan nostrani del governo «tecnico»: rifiutano l’idea che all’Europa di oggi serva una specie di union sacrée attorno al dogma dell’austerità . E hanno una lettura della crisi ben diversa da quella neoliberista. Lo stesso Schneider ricorda che i tagli decisi in Grecia e in Spagna «portano necessariamente alla recessione» e che «i costi della crisi sono stati distribuiti sinora in modo ingiusto». Che «i mercati finanziari sono irrazionali» e gli interessi sul debito spagnolo sono ingiustificati. Che i tedeschi traggono vantaggio in grande misura della crisi – letteralmente: « Wir sind die Profiteure der Krise ». Che si deve combattere il dumping fiscale interno all’Unione, e servono tasse sulle transazioni finanziarie e sulle grandi ricchezze e – addirittura – che «in Europa la libertà di circolazione dei capitali non può essere un tabù». Su cosa si fonda, allora, la «notizia» diffusa e interpretata dai nostri media? Su un passaggio nel quale il politico socialdemocratico ripete quanto da settimane afferma ufficialmente la Spd (vedere il sito): che una forma di garanzia tedesca del debito dei Paesi in crisi esiste già , mentre la Cancelliera Merkel sostiene il contrario. E che ciò avviene attraverso l’azione della Bce: la quale, libera da ogni controllo democratico, compra (se vuole) i titoli degli stati periferici, magari dopo che questi ultimi hanno obbedito alle sue raccomandazioni. Il principale partito d’opposizione tedesco pensa, invece, che la garanzia comune dei debiti debba avvenire in modo trasparente e che risponda ad una volontà politica democraticamente determinata. Come si vede, siamo lontani anni luce dal populismo euroscettico della destra che critica Merkel. Il punto, però, non è difendere l’onore della socialdemocrazia tedesca insidiato dai tecnofili italiani. Qui interessa innanzitutto restituire un’immagine veritiera del dibattito politico in corso in Germania, e in particolare nella sinistra. Perché non sfugga che, pur con ritardi e incertezze, nella Repubblica federale c’è chi lavora ad un’alternativa alla politica democristiano-liberale oggi al governo a Berlino. E lo fa partendo dalla denuncia (non senza accenti autocritici) del fallimento del neoliberismo e da una diagnosi sull’origine della crisi che nulla ha a che vedere con i luoghi comuni sui «Paesi spendaccioni». Non riconoscere anche questi termini della dialettica politica tedesca, e farne una caricatura popolata da «populisti di destra e di sinistra» contro Merkel, è innanzitutto un errore. Ma l’impressione è che sia soprattutto un mascheramento interessato di una realtà che non si vuole vedere, perché non risponde a quell’immagine del mondo che cerca la salvezza nella politica affidata a quei «pochi che sanno» e che per il nostro «superiore Bene» amministrano, con la dura saggezza dei sacerdoti, i sacri misteri dell’austerità .
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