I misteri del Mediterraneo

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Non solo perché l’autrice frequenta impervi territori culturali, lontani dalle competenze di uno storico (pur curioso e itinerante) quale io sono. Ma anche perché il libro è costruito come un viaggio analitico in cui si rimane imprigionati dal fascino della scrittura e dalla insolita navigazione tra miti e rivisitazioni degli archetipi della nostra civiltà . Navigazione errabonda in cui non facilmente si scorgono le direzioni dei venti e gli approdi più o meno prossimi. Ma è pur sempre un felice perdersi. 
È la natura, innanzi tutto, il cuore della riflessione della prima parte del libro. Una natura geograficamente collocata nei vasti spazi mediterranei. Una natura ripensata al femminile, sulla scorta di grandi «esploratori» come Kà roly Kerényi e Johann J. Bachofen, i quali aiutano l’autrice a ripercorrere la mistica pagana «che assume a paradigma la funzione femminile, mettendo al centro del sacro, l’immagine della madre, la sua fecondità , il suo dono di nascita, il suo gesto vitale di nutrimento e di cura». Laura Marchetti ricostruisce la grandezza di questa figura e la sua potenza nelle culture e nell’ immaginario delle popolazioni del mediterraneo sud-orientale prima e dopo Omero e ne segue le metamorfosi lungo i secoli della tarda età  classica. 
Una ricostruzione che non ha intenzionalità  storiche – sulle quali, peraltro, avrei ben poco da obiettare – ma una esplicita volontà  di rivisitazione e di attualizzazione delle culture mediterranee alla luce dei loro lati misterici, dei loro legami con la terra, con le strutture profonde delle vita. Ma soprattutto alla luce dei loro legami e delle loro diversità , delle relazioni e degli scambi che le hanno intessuto. Il Mediterraneo della Marchetti è il mare degli incontri e scontri fra diversi. 
Brusco è perciò, nel libro, il passaggio all’attualità , al Mediterraneo dei nostri giorni, nella sezione in cui l’autrice depone i panni superbi dell’antropologa e storica della cultura, per rivestire quella della pedagogista. «Nel mare della mediazione, nel mare che univa le terre costellate di ulivi e di fari, nel mare che è stato egiziano e greco e romano e arabo, che ha assistito a sbarchi, invasioni, approdi, conversioni guadagnandovi la sua ricchezza meticcia e la sua profonda unità  simbolica, si sono moltiplicate le divisioni e irrigiditi i confini, e mentre si allontanano le lingue e le religioni in un premeditato”scontro di civiltà “, l’enfasi securitaria distribuisce agli incauti viaggiatori al posto dei doni ospitali “spazi di confinamento”, ovvero “permessi di soggiorno, campi di detenzione, espulsioni, deportazioni, ritorni costrittivi fatti passare per volontari, fogli di via, respingimenti alla frontiera, accordi di riammissione, pattugliamenti congiunti lungo le coste, impronte digitali, visti biometrici, radar”» (l’ultima citazione è di Federica Sossi). 
Nel giro di qualche decennio il Mediterraneo è diventato il mare dell’intolleranza e della violenza sulle persone, ha incarnato il volto barbarico di un’Europa che pure voleva porsi al mondo intero quale modello di una superiore fase di civilizzazione. L’autrice dedica perciò l’ultima parte del libro al tema promesso nel sottotitolo, la «didattica delle culture». E lo fa informandoci sugli sforzi notevoli di educazione interculturale che sono stati promossi nelle scuole italiane negli ultimi decenni, per costruire con i giovani immigrati una nuova comunità  culturale sulle sponde occidentali di questo mare tormentato. 
Educazione interculturale non significa integrazione, assorbimento degli altri nella cultura dominante. Nata dalle cosiddette «pedagogie compensative», destinate ai bambini svantaggiati, essa è diventata oggi «una prospettiva generale tesa alla formazione di tutti (di tutti in quanto diversi)». Gli «altri» ci insegnano che siamo tutti diversi e solo il dialogo fra pari ci unisce.


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