I media, il presidente e il professore: una storia americana

by Editore | 27 Agosto 2012 13:26

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La settimana scorsa, in pieno agosto, Ferguson torna a sfidare pubblicamente Barack Obama, scrivendo una feroce cover story per Newsweek intitolata ‘Hit the Road Barack: Why We Need a New President’, in italiano ‘Buttati sulla Strada Barack: Perché Abbiamo Bisogno di un Nuovo Presidente’. L’articolo, un chiarissimo endorsement al ticket repubblicano Romney-Ryan, elenca tutti i fallimenti dell’attuale presidenza, descritta come il tentativo di costruire “an American version of Europe, with low growth, high unemployment, even higher debt—and real geopolitical decline”, “una versione Americana dell’Europa, con scarsa crescita, scarsa occupazione, e un alto indebitamento – un vero declino geopolitico”.

L’articolo fa velocemente il giro del mondo per tre ragioni. Primo: Newsweek è il secondo settimanale più letto negli Stati Uniti dopo Time Magazine e ha una tradizione liberale, tanto che nel 2008 appoggiò Barack Obama. Pochi si sarebbero aspettati unendorsement al suo sfidante nel 2012; e certamente nessuno avrebbe previsto una presa di posizione tanto netta. Secondo: Niall Ferguson è uno dei principali accademici mondiali; come scrive il Telegraph, “no one expects to see a Harvard academic attack a Democratic president in this overt and conservative manner”, “nessuno si aspetterebbe di vedere un accademico di Harvard attaccare un president Democratico con una verve cosi esplicitamente conservatrice”. Terzo: l’articolo intende demolire la presidenza di Obama attraverso canoni scientifici (un preciso Fact Checking di tutto quello che è andato storto in ambito economico, sociale, e in politica estera); il problema è che molti degli indicatori utilizzati da Ferguson risultano quantomeno controversi.

È su questo punto che si scatena una bufera. Sono i colleghi accademici di Niall Ferguson a sollevare il dubbio che gli indicatori utilizzati siano non solo ambigui, ma addirittura falsati. “Non si tratta di ideologia o di analisi economica”, dice ad esempio Paul Krugman(già  Nobel dell’economia e keynote speaker al Festival dell’Economia di Trento 2008), ma di “a plain misrepresentation of the facts”, “una chiara e semplice distorsione dei fatti”. Krugman accusa Ferguson di essersi comportato in maniera poco etica e di aver deliberatamente mentito ai propri lettori utilizzando date e dati a suo piacere. Molti tra i maggiori giornalisti americani tra cui Ezra Klein e Matthew O’Brien concludono che il pezzo di Niall Ferguson è completamente sbagliato e Politico (uno dei principali media online d’oltreoceano) definisce l’articolo “ridiculous, misleading, ethically questionable”, “ridicolo, fuorviante, eticamente questionabile”. Perfino il principale blogger politico Statunitense Andrew Sullivan, da sempre in buoni rapporti con Ferguson, conclude che l’articolo “massively – and rather self-evidently – distorts Obama’s record”, “distorce clamorosamente – e piuttosto evidentemente – i risultati della presidenza Obama”. Brad De Long, collega di Ferguson alla prestigiosa università  di Berkley, conclude che ora non resta che “fire his ass”, letteralmente “aprire il fuoco sul suo culo” (riferendosi al collega). La disputa continua con Niall Ferguson che replica in maniera decisamente pocopolitically correct; e siamo certi che la vicenda continuerà  ancora a lungo, almeno fino alle elezioni di novembre.

Politicamente, la vicenda sembra un autogoal per coloro che volevano delegittimare Obama. Vi è perfino chi sostiene che Newsweek abbia deliberamene lasciato che Ferguson scrivesse un articolo pieno di dati scorretti, o comunque palesemente arbitrari, per far fare una figuraccia a lui e sostenere la causa democratica. Forse, più verosimilmente, lo staff editoriale della rivista si è ciecamente fidato dei dati forniti da Ferguson sulla base della reputazione che lo precede. È proprio su questo punto che la vicenda assume un particolare rilievo perché i suoi partecipanti sono celebrità  accademiche di primo livello, da Harvard a Princeton e Berkley, abituati a fornire argomentazioni scientifiche difficilmente contestabili. Vi è chi ha sottolineato che commentatori come Ferguson arrivano a guadagnare 75.000 dollari per le uscire pubbliche in TV e sui giornali: naturale che poi siano incentivati a spararla grossa.

Un argomento sui cui riflettere molto anche da questa parte dell’Oceano dove, non solo in televisione ma anche sui giornali, chi urla più forte ha maggiori probabilità  di essere ascoltato rispetto a tutti gli altri (vedi non solo Libero, il Giornale, la Repubblica, il Manifesto, ma anche Espresso, Panorama…); e dove, ormai abituati alla pretesa di neutralità  a tutti i costi dei giornali “storici” (Corriere della Sera, La Stampa) e alla tacita regola per cui le opinioni di un collega giornalista non vanno mai messe in discussione, tanti mezzi di informazione sono abituati a far circolare le notizie più tendenziose senza che nessun collega si preoccupi di sottoporle ad un rigido contraddittorio o, come lo chiamano i protagonisti di questa disputa, fact checking. Perché alla fine nessun dato o indicatore è oggettivo, soprattutto quando si parla di media e politica.

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