Gli eredi di Togliatti senza fissa dimora

by Editore | 24 Agosto 2012 7:52

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Ho letto con piacere sull’Unità  del 22 agosto, in prima pagina, l’articolo di Michele Prospero su Togliatti nell’anniversario della morte del dirigente comunista, avvenuta a Jalta il 21 agosto 1964. Un articolo interessante, non solo per quanto strettamente riferito alla politica e alla eredità  togliattiane. Non sfugge infatti a chi si sia occupato di storia del Pci, o anche a molti di coloro che quella storia l’hanno vissuta in prima persona, che a volte gli articoli sul giornale «fondato da Antonio Gramsci» in occasione della ricorrenza del 21 agosto non siano stati puramente rituali, ma abbiano offerto il pretesto per prese di posizione politiche significative. Ad esempio nel 1981 fu il casodell’articolo di Giorgio Napolitano, allora leader della destra comunista, che – come afferma esplicitamente nella sua autobiografia – utilizzò l’anniversario della morte di Togliatti per scrivere un articolo «formalmente dedicato alla ricorrenza e sostanzialmente polemico con le recenti affermazioni di Berlinguer», reo per Napolitano di avere in quegli anni abbandonato la politica della solidarietà  nazionale per virare vigorosamente a sinistra. In quel frangente il richiamo a Togliatti era positivo e serviva a polemizzare con la politica berlingueriana. Pochi anni più tardi invece un altro esponente della destra del Pci (anche se con un passato da intellettuale ingraiano), Biagio de Giovanni, usò il medesimo anniversario per ribadire il proprio addio a Togliatti e a tutta la storia del comunismo novecentesco, già  emerso peraltro qualche mese prima nel libretto intitolato La nottola di Minerva: – l’anno era il 1989 e il titolo dell’articolo di De Giovanni ospitato domenica 20 agosto 1989dall’Unità  – allora diretta nominalmente da Massimo D’Alema ma in quei caldigiorni d’estate, in realtà , dal suo vice Renzo Foa – si intitolava Addio a Togliatti e al socialismo reale: ecco in poche righe liquidato con il secondo anche il vecchio autore del Memoriale di Jalta. Del resto Occhetto non aveva aspettato l’occasione di un anniversario e l’anno prima, l’8 luglio a Civitavecchia, inaugurando un monumento a Togliatti, non aveva trovato di meglio che bollare quest’ultimo come «inevitabilmente corresponsabile» dello stalinismo». La distruzione di Togliatti preparava quella del Pci.
Anche per questa storia di usi più o meno strumentali della ricorrenza del 21 agosto è difficile sottrarsi all’impressione che pure Prospero abbia voluto mandare un messaggio in codice (ma non troppo) alla galassia del Pd: la componente provenientedal vecchio Pci-Pds-Ds più restia a rigettarne la storia, la tradizione organizzativa, il modo di concepire la politica batte un colpo (non il primo sull’Unità  da quando è diretta da Claudio Sardo) e richiama alcuni punti di forza della sua tradizione di provenienza.
Se però si esce dai messaggi in codice e si va a leggere i contenuti dell’articolo, molte perplessità  rimangono. Perché il Togliatti che Prospero dipinge – con buona chiarezza e ottima sintesi – non sembra in nessun modo arruolabile nel Pd. Il metodo delle citazioni isolate (inevitabili nel contesto di un breve articolo di giornale) può essere usato, come è noto, per dire tutto e il suo contrario; mi limiterò perciò in questa sede solo alle parole e alle citazioni che Prospero usa per tratteggiare il pensiero politico togliattiano. Lasciamo da parte la«funzione nazionale della classe operaia»: non credo che sia oggi molto togliattiano appoggiare Monti – e del resto ogni paragone tra la Dc di De Gasperi e Dossetti e il Pdl di Berlusconi e Alfano è improponibile. Ma questo discorso ci porterebbe troppo lontano. A parte questo tema, gli altri tratti che con efficacia Prospero richiama sono quelli del «partito nuovo», della nascita della Costituzione, ma anche dell’Ottobre che «restava per lui il mito che faceva da spartiacque, l’evento simbolico del ‘900». In poche parole – diceva Togliatti e Prospero lo ricorda – «i nostri principi e la nostra organizzazione» erano i punti di forza ritenuti fondamentali, addirittura «infallibili», dal vecchio leader comunista.
Ora, a essere seri, cosa rimane di tutto ciò nel Pd? I principi e i valori togliattiani che Prospero onestamente ricorda son quelli della migliore tradizione comunista italiana. Ma cosa c’entra il partito di massa di togliattiana memoria, le migliaia di sezioni sparse nel territorio e la loro pedagogia di massa ricalcata sui Quaderni di Gramsci, con l’odierno partito delle primarie e degli eletti, a tutti i livelli? E cosa c’entra la ferma volontà  togliattiana di restare fedeli, sia pure criticamente, alla grande storia iniziata con l’Ottobre con le origini stesse di una formazione politica (nel mutare dei nomi) e di un gruppo dirigente nato come tale nell’89 dalla voglia di rimuovere quella stessa storia? E anche riguardo alla Costituzione, non sembra che il Pd ne sia oggi strenuo difensore. Fa piacere che vi siano nel Partito democratico dei togliattiani, fors’anche dei comunisti (non è il caso di Prospero). Ciò che ci si chiede però è cosa ci stiano a fare in quel partito. E anche perché siano rimasti senza una vera «casa».

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