by Editore | 1 Agosto 2012 8:13
Forse dovremo smetterla di parlare dei servizi pubblici locali, le ex municipalizzate del gas, dell’acqua e dei rifiuti, solo in termini politici. Solo per schierarci tra i fautori delle liberalizzazioni spinte o al contrario per sostenere la teoria dei beni comuni. Faremmo meglio a studiarle come imprese perché arriveremmo alla conclusione che stanno «battendo» la crisi. Almeno è ciò che emerge da un’approfondita indagine che il Servizio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo ha dedicato alle local utilities, un gruppo di imprese che va sorprendentemente bene, fa profitti e cresce di dimensione. E tutto ciò nonostante il quadro normativo che regola i loro business si sia dimostrato a volte incoerente e comunque sottoposto a continui strappi politici dall’una e dall’altra parte.
Cominciamo con qualche numero. Le aziende che operano nella distribuzione di gas naturale hanno fatto registrare tra il 2008 e il 2010 una crescita dei ricavi del 16,4% medio l’anno, le imprese idriche del 9,5% e quelle legate al ciclo dei rifiuti del 7,5%. Nei primi tre anni della crisi è stata elevata anche la redditività : in testa c’è ancora il gas con un Roe (ritorno sul capitale) mediano pari al 6,7%, segue l’acqua con il 3,9% e poi i rifiuti con il 2,6%. Fatturato e utili in crescita si accoppiano anche con un’elevata patrimonializzazione. Spiega Laura Campanini che ha curato l’indagine: «Si può dire che in dieci anni è cambiato tutto. Le vecchie municipalizzate erano monopoliste, gestivano i servizi in chiave amministrativa e alla fine pesavano sui bilanci comunali. Ora abbiamo dei veri soggetti industriali».
E infatti, a differenza del settore manifatturiero dove lo sviluppo dimensionale delle imprese procede quantomeno a singhiozzo, nei servizi locali abbiamo assistito a un vorticoso processo di aggregazioni e fusioni. Nel settore idrico dieci anni fa si contavano fino a 8 mila operatori, oggi si sono raggruppati in 400-500. Come è naturale le imprese di maggiori dimensioni risultano meglio attrezzate a cogliere le opportunità di mercato che si dovessero presentare sui mercati esteri. Resta estremamente debole, invece, il sistema di offerta meridionale. Le imprese localizzate nel Sud, a prescindere dal settore, mostrano risultati peggiori di quelle dislocate in altre aree del Paese.
Ma veniamo ai nodi che per comodità chiameremo «politici». Come ha giocato l’ingresso, a vario titolo, di capitale privato nelle local utilities? Risponde Campanini: «Ha rappresentato un punto di forza e ha permesso alle imprese coinvolte di conseguire risultati migliori». Ma il successo delle local utilities non si può spiegare con una scarsa concorrenza e l’esistenza di rendite di posizione? In realtà fino a dieci anni fa i servizi venivano affidati dai Comuni senza gara, adesso invece siamo in un regime di concorrenza in cui le regole per l’affidamento del servizio e l’azione di controllo dell’amministrazione risultano cruciali. «Il settore dove si è registrato il maggior grado di apertura alla concorrenza, quello del gas, registra una rilevante disomogeneità di risultati. Alcune hanno imprese hanno saputo sfruttare le opportunità di un mercato aperto, altre hanno faticato a tenere il passo». Nel settore idrico e dei rifiuti dove il grado di apertura del mercato è più basso le local utilities hanno mostrato meno dinamismo e risultati più omogenei tra loro. Dall’analisi di bilancio emerge — ed è questo forse l’elemento più interessante in proiezione futura — la maggiore capacità delle imprese, che gestiscono il servizio nel mercato liberalizzato, di fare investimenti. Sostiene Campanini: «In settori in cui la dotazione infrastrutturale è inadeguata a garantire un moderno ed efficiente sistema di offerta gli investimenti sono decisivi. Basta pensare alle continue emergenze per la gestione dei rifiuti o allo stato pietoso in cui versano alcuni tratti delle nostre coste per la mancanza di depuratori». Ovviamente per poter programmare gli investimenti ci sarebbe bisogno di un quadro normativo certo e duraturo e invece troppo spesso il futuro di queste imprese finisce nel calderone delle diatribe politiche.
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