Fitch a tutto campo: gli Usa sono a rischio Giù 7 banche italiane
Ieri è toccato a Fitch, la meno importante delle tre, che ha preso di mira nientemeno che il debito pubblico degli Stati uniti. Non è impazzita e non pretende di demolire il paese-madre, ovviamente. Però spinge con decisione contro l’eventualità che si realizzi il temuto – dagli americani più ricchi – fiscal cliff, il cosiddetto «precipizio fiscale». Cos’è? Semplicemente la scadenza definitiva degli sgravi fiscali per i super-ricchi deciso dieci anni fa da George W. Bush. Se Washington non agirà in modo deciso per evitare un aumento del debito nella prima metà del prossimo anno, la «tripla A», la valutazione massima, assegnata da sempre agli Stati Uniti, potrebbe essere «minacciata». Secondo David Riley, direttore generale di Fitch Ratings, «è necessario risolvere la questione delle tasse e della spesa, si devono prendere decisioni e fissare un piano per ridurre deficit e debito in modo sensibile». Riley ha sottolineato che «se non ci sarà un piano entro la prima metà del 2013, c’è una significativa minaccia di perdita della tripla A assegnata da Fitch». Un anno fa Standard & Poor’s aveva tagliato la valutazione degli Stati Uniti da «Aaa» a «Aa+» per la prima volta nella storia del Paese.
Meno clamoroso, ma più vicino a noi, anche il downgrade di sette banche italiane di «taglia media». Si tratta della Popolare di Sondrio e e del Banco di Desio, che perdono l’unica «A» loro rimasta per cadere in serie B. Mentre precipitano ancora più in basso la Popolare di Milano, seguita da quattro istituti che finiscono addirittura al livello «junk», letteralmente spazzatura. La valutazione di Fitch è analoga a quella rilasciata una decina di giorni fa da Standard&Poor’s, che però aveva svalutato solo quattro istituti italiani.
Quel giudizio fu duramente contestato – ad esempio – da tutti i giornali vicini a Confindustria (e quindi anche all’Abi). Si parlò apertamente di «due pesi e due misure», perché si davano voti pessimi a piccole banche con esposizione minima e prive di «rischio sistemico». Mentre si davano giudizi positivi in modo quasi imbarazzante di grandi banche, come la Royal Bank of Scotland, salvate a carissimo prezzo dai rispettivi governi. E subito tornate ai vecchi vizi.
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