FATTI, INTERPRETAZIONI E METODO CRITICO

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Che cosa c’è di nuovo nel “nuovo realismo”? Solo questo: la piena consapevolezza di venire dopo il postmoderno, ossia di avere attraversato (e sperabilmente superato) l’antirealismo prevalente nella seconda metà  del secolo scorso. In questo senso, i suoi tratti fondamentali sono, piuttosto che una critica liquidatoria dell’antirealismo, il tentativo di conservarne le istanze emancipative evitando gli effetti indesiderati, e in particolare la curva che ha portato il postmoderno a dire addio alla verità , attuando in modo indiscriminato il principio secondo cui «non ci sono fatti, solo interpretazioni».
In primo luogo, il nuovo realismo tiene ferma l’istanza decostruttiva. Lo scopo fondamentale del nuovo realismo è la possibilità  di recuperare gli argomenti per la critica, dopo la delegittimazione postmoderna della verità  e della realtà . La parola “critica” dovrebbe mettere in chiaro che se ci si appella alla realtà  non è per Real-
politik, ma, proprio al contrario, perché si tratta di non abbandonare il pensiero critico, ma di riproporlo sotto altre forme, adatte al mutato momento storico e non ridotte a una pura scolastica. È sacrosanto decostruire: in natura non esistono i granduchi, i padri-padroni e gli angeli del focolare, loro sono socialmente costruiti. Ma questo non significa che tutto sia socialmente costruito, o che la verità  sia un male. E del resto non si dimentichi che anche i sospettosi eroi del postmoderno che hanno insistito sul carattere costruito della realtà  lo facevano in nome della realtà  e della verità . In fin dei conti, se Nietzsche, Freud, Marx hanno scritto quello che hanno scritto, è stato in nome della verità . In secondo luogo, il nuovo realismo non è affatto una filosofia antiermeneutica o antiscientistica. I realisti sanno bene che un pezzo importantissimo nel mondo, e cioè la sfera sociale, non può darsi senza interpretazione, e che l’interpretazione può essere ricerca della verità  e non immaginazione al potere. Il problema, semmai, e per restare all’endiadi della immaginazione al potere, non è l’immaginazione, ma il potere, l’idea postmoderna secondo cui non c’è verità , ma solo conflitto, interesse, prevalenza del più forte, e che “interpretare” significhi essenzialmente
scendere in campo. Ora, rifiutare questo uso della interpretazione non vuol dire ridurla a immaginazione; significa, al contrario, mostrare il nesso essenziale che l’interpretazione ha con la verità  e la realtà . Quanto poi allo scientismo, mi sembra che i realisti, da Gabriel a Paul Boghossian, da Mario De Caro a Akeel Bilgrami a Petar Bojanic, senza dimenticare Hilary Putnam o Umberto Eco, non ci si riconoscano affatto. Per quel che mi riguarda, la prova di questo è la differenza che ho proposto di tracciare fra ontologia ed epistemologia. Il che non significa che la filosofia può rifiutare le conquiste della scienza. La filosofia non si risolve nella scienza, è un’attività  strutturalmente diversa, ma è molto difficile fare una buona filosofia in contrasto con la scienza. Infine, il nuovo realismo è la proposta di una filosofia globalizzata, con la convergenza di tre elementi. 1. Una competenza scientifica, che nella fattispecie di una disciplina con forte componente umanistica come la filosofia, significa anche una competenza filologica e storica. A cui si dovrà  però aggiungere la competenza rispetto alle scienze (naturali e sociali). 2. Una competenza
teorica, dove l’elemento analitico (o più propriamente accademico) fornisce la forma, mentre l’elemento continentale (o più propriamente extra-accademico) fornisce i contenuti. 3. Una pertinenza pubblica: fa intrinsecamente, e non accidentalmente, parte della filosofia la capacità  di rivolgersi a uno spazio pubblico, consegnando a quello spazio risultati elaborati tecnicamente, ma in forma linguisticamente accessibile.


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