Eurozona divisa dai tassi politica monetaria disarmata ora Draghi userà il bazooka
MILANO — Il D-Day è fissato per domani. «Faremo qualsiasi cosa per difendere l’euro», ha promesso giovedì scorso Mario Draghi. E tra 24 ore il presidente della Bce annuncerà ai mercati come intende combattere la sua battaglia contro lo spread. L’arsenale a disposizione di Eurotower è ampio. Allo stato, però, la certezza è solo una: gli strumenti tradizionali (leggi taglio dei tassi) non funzionano quasi più. E per avere qualche possibilità di successo, Francoforte sarà costretta a mettere sul tavolo un ventaglio di armi “non convenzionali”. Obiettivo: «Ristabilire la giusta trasmissione delle decisioni di politica monetaria». Tradotto
in soldoni, rimettere ordine in un’Europa dove i tassi d’interesse si muovono in ordine sparso Paese per Paese, sfuggendo alla logica finanziaria e snobbando le mosse della Bce.
I numeri parlano da soli: a fronte di un tasso di riferimento ufficiale uguale per tutti (sceso dal 3,75% allo 0,75% in meno di due anni) i rendimenti dei titoli di stato nazionali hanno separato, e di molto, i loro destini. La Germania paga oggi l’1,39% per piazzare decennali, meno dell’inflazione, mentre l’Italia viaggia al 6%, la Spagna al 6,5% e la Grecia al 25,4%. Stesso discorso per famiglie e imprese. A giugno 2009, come calcola Natacha Valla di Goldman Sachs, la “trasmissione della politica monetaria” funzionava come un orologio svizzero: la banca centrale tagliava i tassi e i prestiti al consumo si adeguavano in modo omogeneno in ogni paese. Tre anni fa il tasso per un finanziamento di un milione a un’azienda viaggiava dal 3,3% della Spagna (altri tempi) al 4,3% della Germania fino al 5% dell’Italia. Oggi la forbice si è allargata: una società tedesca si finanzia al 3,4% mentre a Madrid e Roma per lo stesso prestito si paga il 6 e il 6,5% circa. La Bce ha già dato prova di creatività nel combattere questo caos monetario. Ha sostenuto i paesi più deboli comprando 211 miliardi di titoli irlandesi, portoghesi, greci, spagnoli e italiani. Poi ha girato mille miliardi alle banche a un tasso dell’1%, sperando che questo denaro finisse a imprese e famiglie e contribuisse ad abbassare gli spread. Risultato: qualcosa si è mosso (gli istituti italiani hanno comprato 72 miliardi di Btp) ma non i rendimenti dei cosiddetti Piigs, rimasti ad altissima quota. Cosa può fare ora Draghi senza urtare la suscettibilità della Bundesbank? L’obiettivo è traghettare l’euro fino al battesimo dell’Esm, congelato in attesa dell’ok della Corte costituzionale tedesca previsto a metà settembre. Il fondo salva-Stati con i suoi 500 miliardi di dotazione sarebbe in grado (in teoria) di comprare in asta più della metà dei titoli a medio e lungo termine in emissione in Italia e Spagna fino a fine 2014. Ma visto che l’Esm è ancora un miraggio – e sperimentata sul campo la scarsa efficacia dei finanziamenti alle banche e dei tagli ai tassi – Eurotower batterà con ogni probabilità nuove strade. Si parla di acquisti di titoli sul secondario, di interventi su obbligazioni societarie e di rivoluzioni copernicane come la concessione della licenza bancaria all’Esm (operazione che moltiplicherebbe la sua potenza di fuoco). Se la cinghia della trasmissione di politica monetaria riprende a funzionare, certifica Goldman Sachs, lo spread Btp-Bund dovrebbe scendere a 275 punti base. Per l’Italia significherebbe un risparmio di 6 miliardi l’anno sugli interessi per il nostro debito.
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