È morto il nostro Romano Costa
E poi, a lungo, nella sua residenza al Soldo, dalle parti di Como, dove di ritorno da Locarno mi fermavo un po’ di giorni e lì, in giardino, il conversare aveva un andamento più dolce. Le nostre conversazioni buttavano soprattutto sul pessimismo, ma un pessimismo – non è un paradosso – positivo, direi addirittura ottimistico. Concordavamo che tutto va male, che era quasi meglio crepare e togliersi di mezzo, ma poi tornava la forza della vita: «qui c’è da combattere, non possiamo andarcene». Ma, adesso, ho perso la speranza di incontrare Romano, discutere con lui. Per me, un po’ più vecchio di lui, questo è stato proprio un brutto colpo. Un brutto colpo non solo per me, ma per i tanti che conoscevano Romano, sapevano della sua vita, avevano letto i suoi libri. I suoi percorsi di raffinato e acuto scrittore; di persona capace di vivere pienamente, senza risparmi, la vita. Parma, dove è nato nel 1933, è una città storicamente infranciosata e lui, giovanissimo, passa volentieri da Parma a Parigi. Giovanissimo collabora alla terza pagina dell’ Avanti! e al Ponte di Calamandrei. Lavora al Gatto Selvatico dell’Eni, diretto da Attilio Bertolucci, con il quale stringe una forte amicizia. Romano ha (aveva) un motore in corpo. Viaggia di continuo. Fa documentari televisivi in Africa per la Rai e diventa amico di Pasolini e di Moravia. E viaggia ancora: in Asia, in America Latina, negli Usa, dove, con la famiglia, si ferma per almeno due anni. E’ presente nei caffè di Parma, viaggia per il mondo e scrive. A 34 anni pubblica il suo primo romanzo, La ragazza dalle braccia lunghe . Poi, nel 1972, Aphrika e inizia la collaborazione con la Biblioteca Blu di Franco Maria Ricci. Nel 1975, per Mondadori, il suo terzo romanzo Lambras e poi East Village . Nel 1981 per il Saggiatore pubblica Negro . Nel ’90 per Feltrinelli La capanna di Calibano e nel 1992 L’isola dell’orgoglio sulla crisi e le speranze di Cuba, dove si era fermato per diversi mesi con la moglie Sancia chiamato dall’Università di Cuba. Ma non solo libri. Scriveva anche sui giornali e in questi anni era diventato un prezioso collaboratore di Alias, il nostro supplemento culturale e le sue recensioni provocavano sempre qualche discussione. Romano non si fermava mai, nemmeno in questi ultimi giorni quando lo andavo a trovare in ospedale. Ciao Romano, peccato che non ci sia un altro mondo, dove poter tornare a incontrarsi, parlare e apprezzare la tua straordinaria ironia e soprattutto autoironia. Peccato, ma fino a quando resterò su questa terra Romano mi sarà presente, continuerò a discutere con lui, a chiedermi: «ma Romano che cosa avrebbe detto?». Un abbraccio alla moglie Sancia, ai figli Caterina e Andrea, ai cari nipotini e anche alle sorelle di Sancia: Ippolita e Margherita. Grande famiglia quella di Sancia e Romano. Come dimenticare le cene a casa loro
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