Dalla bassa padovana al Polesine viaggio tra i campi senza raccolto
Fa quasi paura, il campo di granoturco. Dovrebbe essere ancora fresco e verde, con le piante alte più di due metri. E invece è giallo e ocra e soprattutto secco. Tocchi una pianta e scende la polvere. Le pannocchie dovrebbero essere lunghe almeno una spanna e ancora con i grani teneri. Ma al loro posto ci sono “cartocci” vuoti o con aborti di pannocchie, quando va bene 30 grani invece di 700-800. «In questo campo — racconta Paolo Minella, perito agrario e responsabile Ambiente della Coldiretti di Padova — il danno è del 100%. Invece della mietitrebbia qui entrerà il “trincia stocchi”, una macchina che frantuma le piante. Poi l’aratro seppellirà il tutto. Il “raccolto” di quest’anno servirà soltanto a concimare il terreno».
“Siccità ” non è certo una parola nuova, nelle campagne italiane. «Abbiamo avuto la grande secca nel 2003 — dice Paolo Minella — ma quest’anno purtroppo sta andando peggio. Come Coldiretti, proprio per studiare questo fenomeno, abbiamo installato i nostri pluviometri. Ebbene, nella bassa padovana in tutto il 2003 erano caduti 448 millimetri di pioggia, ma a fine luglio i millimetri erano 218. Quest’anno,
alla fine dello stesso mese, i millimetri erano 179». I dati dell’Arpav (Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto) confermano: su queste campagne a giugno sono arrivati 10,2 millimetri di pioggia, a luglio appena 2 millimetri. «I danni sono già pesantissimi. Il mais perde fra il 30 e il 100%, la soia e le barbabietole il 40%. Solo per la bassa padovana prevediamo un danno di 100-120 milioni di euro. Dove ancora il mais non è completamente perduto, si va nei campi a trinciare tutto. Piante e pannocchie servono poi a preparare l’“insilato” per l’alimentazione delle vacche. Ma se le pannocchie sono troppo scarse, il trinciato non va bene per il bestiame e nemmeno per gli impianti di biogas. Dentro ci sono solo fibre, e non le proteine dei grani di mais».
Sembrano bollettini di guerra, i comunicati delle associazioni degli agricoltori. Secondo
la Coldiretti nazionale, i danni sono quantificabili già in mezzo miliardo di euro, ma purtroppo siamo solo all’inizio e basta mettere in fila i deficit previsti nelle diverse zone per ipotizzare bilanci ancor più pesanti. La bassa padovana è solo una delle “secche”cheamacchiadileopardostanno coprendo pianure, colline e montagne. «Nella zona sud del Veneto — dice Tiziano Girotto, direttore di Condifesa (Consorzio di difesa dalle avversità atmosferiche) di Padova — ci sono danni pesanti anche nel veronese, nel veneziano e in tutto il Polesine. Per cercare di salvare il salvabile, si anticipa ogni raccolto. Oltre al mais è già iniziata la raccolta delle barbabietole, che di solito si avvia ai primi di settembre. Anche
con l’uva ci sarà un mese di anticipo. I colpi di calore hanno già danneggiato i grappoli, disidratandoli nella delicata fase della maturazione». Sali sui colli Euganei e anche qui il color seppia ha invaso prati e boschi. Sotto il grande fiume Po — dal ponte si vedono più distese di sabbia che acqua — si chiede la dichiarazione dello stato di calamità naturale.
«La siccità — ha dichiarato Stefano Calderoni, assessore alla Provincia di Ferrara — si somma agli sbalzi termici di fine aprile, quando le temperature si abbassarono: già allora furono colpite le colture della mela, della pera e del kiwi e oggi le perdite sfiorano l’80%. Con il grano abbiamo perso il 20-30% ma anche da noi è drammatica la situazione del mais, con raccolti ridotti del 70%. Calcoliamo che i danni da siccità arriveranno nella nostra provincia a 200 milioni, da sommare ai 150 milioni tolti all’agricoltura dal terremoto di maggio. Il prodotto lordo vendibile della nostra provincia è solitamente di 700 milioni: questo significa che nei campi avremo un reddito complessivo dimezzato». Il caldo non fa bene nemmeno agli animali. I maiali mangiano il 30% in meno di mangime, le vacche producono il 20% in meno di latte. Ma la siccità non è problema solo per i contadini. I prezzi stanno aumentando in modo pericoloso. Nelle ultime sei settimane alla Chicago Board of Trade, causa siccità negli Usa e in Russia e alluvioni in Ucraina, il grano è aumentato del 50%, la soia del 26%, il mais del 55%. I contadini italiani riceveranno prezzi più alti ma per quantità estremamente ridotte. A pagare il conto del caldo saranno dunque anche i consumatori, già nel prossimo autunno. «Con il nostro Condifesa, che è stato organizzato da noi contadini — dice Tiziano Girotto — assicuriamo le imprese contro grandine, siccità , gelo, alluvioni… Ma se per la grandine il rimborso è del 100%, per il mais si arriva soltanto al 50%. Soldi che sono comunque preziosi (l’assicurazione è pagata al 40% dai coltivatori e al 60% dalla Comunità europea) per evitare il fallimento delle aziende». Hanno un peso diverso, le previsioni del tempo, in città o nelle campagne. Il cittadino vuol sapere se può andare al mare o a prendere una boccata d’aria in collina. In campagna si vuole sapere se, quando si chiuderanno i conti a ottobre, ci saranno i soldi per mantenere le famiglie fino ai prossimi raccolti.
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Re Carlo, tornando dalla guerra, dopo essersi terso il nobile sudor, si sedeva a tavola pronto a divorare spiedi di tordi, cinghiali arrosto, fagiani e lepri. Consacrata da poesie, romanzi e film (chi non ricorda i banchetti dei tanti «Robin Hood» o di «Ivanhoe»?), l’immagine del capo è sempre stata quella del guerriero, cacciatore e carnivoro. Di uno che gli animali li uccide e li mangia, e fa solo due eccezioni: per il cavallo che lo porta in battaglia e per il cane che lo accompagna alla caccia.
Ora non date la colpa al cielo la mia terra è maledetta perché non l’abbiamo difesa
NON è l’acqua che uccide, ma l’uomo che non difende la terra.
Da quando ho scritto “Padre padrone”, negli anni Settanta, come pastore ho cantato la letizia della terra, sia pure con una lingua come quella italiana che non era del tutto in grado di esprimere questa gioia, tant’è vero che adesso sto rielaborando quel poema con uno spirito e un linguaggio diversi, più liberi.