by Editore | 12 Agosto 2012 17:15
La storia della Centrale a biomasse del Mercure, impianto elettrico situato nel comune di Laino Borgo, in provincia di Cosenza ma ad una manciata di chilometri dal confine con la Basilicata, all’interno del territorio del Parco nazionale del Pollino, è una disfida decennale con tanti contendenti: Regione Basilicata contro Regione Calabria, Ente parco del Pollino contro Enel, movimenti ambientalisti contro comitati promotori, comuni favorevoli contro comuni contrari. Oltre dieci anni fa, tra il 2000 e il 2002, l’Enel, proprietaria della centrale, una struttura che risale alla metà degli anni Sessanta, accettava di riconvertire una delle due sezioni da olio combustibile a biomasse. Lì per lì sembrava a tutti una grande idea, ma un po’ alla volta, mentre il lento e laborioso iter burocratico procedeva, iniziavano a scoppiare grane e contenziosi. Merito di tenaci gruppi ambientalisti (Forum «Stefano Gioia», Organizzazione Lucana Ambientalista, Forum Ambientalista, Medici per l’Ambiente, Legambiente) che da anni vanno denunciando l’insensatezza e la nocività dell’opera. La settimana scorsa, il colpo di scena. Con una sentenza di otto pagine il Consiglio di Stato ha annullato per un vizio di forma il decreto della Regione Calabria, emesso il 13 settembre 2010, che autorizzava Enel alla messa in esercizio della centrale.
Enel spiega in una nota che «la sentenza prefigura la chiusura dell’impianto dove lavorano attualmente 150 persone. La Sesta Sezione del supremo organo di giustizia amministrativa ha riscontrato un vizio procedurale dovuto alla mancata convocazione di una delle parti alla Conferenza dei Servizi. L’azienda – conclude il comunicato – ha investito 70 milioni di euro per realizzare una moderna centrale a biomasse vegetali di piccola taglia che può vantare standard di qualità ambientale molto elevati». Di tutt’altro avviso gli ambientalisti. Lo scontro ruota tutto sulla questione legna: quanta e quale ne dovrà bruciare la centrale per produrre elettricità ? «Le centrali a biomasse hanno solitamente una potenza di 4 o 5 MW, quella del Mercure arriva invece a 35», rileva Ferdinando Laghi di Medici per l’ambiente. «Per alimentarla – sostiene – serve una quantità di legna gigantesca, molto più grande della disponibilità della zona. Questo significa che occorrerebbe importarla da chissà dove, alimentando un continuo via vai di Tir sulle strette strade all’interno del Parco. Bruciare circa mezzo milione di tonnellate l’anno di biomasse provenienti da tutta Europa, trasportate su strade di montagna da 150 camion al giorno, all’interno di una valle con scarsa ventilazione, utilizzando le acque di un fiume noto in tutta Italia per il rafting, è semplicemente una follia».
Coincidenza vuole che la sentenza dei giudici del Consiglio di Stato, che potrebbe aver sancito la fine della Centrale a biomasse, giunga proprio nell’estate di fuoco del Pollino. Il cuore del Parco nazionale, infatti, arde ormai da giorni e giorni. «Quei pini loricati che da settecento anni e oltre vegliano sulle nostre splendide montagne bruciano come cerini, mentre appena un paio di Canadair e una ventina di uomini tentano l’impossibile impresa dello spegnimento. L’iniziativa più seria e concreta per risolvere questa immane tragedia ambientale è… sperare che piova! Basta! Questo ennesimo disastro annuale, forse il peggiore, qualcosa dovrà pure insegnare. Qualcosa dovrà suggerire per il futuro. Ma non un futuro lontanissimo, già per il prossimo anno. Non abbiamo più tempo. Siamo stanchi di inveire contro i piromani, contro i pessimi politici e politicanti che fingono di governare le nostre regioni, contro gli affaristi e gli speculatori, contro il business degli incendi che ogni estate si ingrassa sulle ceneri del futuro della nostra terra e dei nostri figli. È tempo di cominciare a cambiare» denunciano l’ Associazione «Il riccio» di Castrovillari, la Rete difesa del Territorio «Franco Nisticò» e il Movimento ambientalista del Tirreno.
Un cambio di rotta potrebbe averlo decretato la pronuncia del Consiglio di Stato che segna indubbiamente un punto a favore degli ambientalisti. Per converso, schiumano rabbia i lavoratori spalleggiati dal Comitato per la riattivazione della Centrale del Mercure che hanno proclamato lo stato di agitazione chiedendo l’intervento del presidente del Consiglio, Mario Monti, e del ministro dell’ambiente Clini. «Anni di lavoro e milioni di euro investiti vanno in fumo condannando centinaia di lavoratori del cantiere e della filiera del legno a un futuro incerto», ha detto il presidente del comitato che federa le imprese del settore boschivo, Antonio Domenico Derenzo.
I lavoratori sono scesi in piazza il 3 agosto con un sit in davanti alla sede dell’Ente parco del Pollino, a Rotonda nel potentino, e un corteo a Castelluccio Inferiore al grido: «Giù le mani dalla centrale». Anche i sindacati criticano la pronuncia della magistratura amministrativa, incuranti della questione ambientale. Evidentemente il caso Ilva non ha insegnato un bel nulla. «Bloccare tutto per un vizio di forma è impossibile da accettare», hanno commentato le segreterie regionali di Filctem-Cgil, Flaei- Cisl e Uiltem-Uil. Per il Forum «Stefano Gioia», invece, «Giustizia è fatta. Ed è proprio dalla lettura della sentenza si può comprendere l’interminabile serie di irregolarità che hanno caratterizzato l’iter autorizzativo».
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