Condanna a morte ma evitata

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Spingfirst è convinto che «le stanno già  preparando una stanza d’ospedale a cinque stelle per quando, tra un paio d’anni, uscirà  di galera». Per Er Lang shen jun 77, un altro netizen, «la condanna a morte con sospensione della pena è ormai un diritto esclusivo dei dignitari» del Partito. Tantissimi altri tra i milioni di cinesi che, utilizzando metafore e nomi falsi, hanno commentato su internet la pena capitale – sospesa per due anni – comminata ieri a Gu Kailai hanno invece protestato con due sole parole: «Come previsto».
Per l’omicidio di un uomo d’affari britannico Gu, moglie dell’ex membro del politburo del Partito comunista cinese (Pcc) Bo Xilai, si è vista infliggere da una corte della città  di Hefei una punizione che – se la cinquantatreenne avvocato figlia di un generale dell’esercito popolare di liberazione nei prossimi due anni non commetterà  reati in carcere – potrà  essere commutata in ergastolo e, in seguito, subire ulteriori sostanziosi sconti. E questo, a chi ha creduto interamente alla verità  sulla morte di Neil Heywood data in pasto all’opinione pubblica dai media ufficiali settimana dopo settimana, un particolare dopo l’altro, non è andato giù. 
In quello che in Cina viene considerato il processo più importante dopo quello di trent’anni fa contro la «banda dei quattro» (per il blasone del marito dell’imputata e perché si è celebrato alla vigilia del 18° congresso del Partito comunista cinese) è stata accettata la tesi dell’accusa: omicidio volontario, dopo che nell’udienza del 9 agosto scorso Gu non aveva respinto gli addebiti. 
Quindi il 13 novembre scorso Gu passò la serata assieme a Heywood in un albergo di Chongqing – la megalopoli della quale Bo era segretario del Pcc dove i due avrebbero bevuto, tè e alcolici. I media britannici hanno riferito che l’uomo d’affari non era un bevitore ma per i magistrati «Heywood rimase intossicato, vomitò e chiese un bicchier d’acqua». A quel punto Gu, con la complicità  di un suo collaboratore (condannato ieri a nove anni), lo uccise dandogli da bere del cianuro. 
Gu, nell’unica udienza di questo processo lampo, avrebbe confessato di aver ucciso Heywood in preda a esaurimento nervoso e dopo che il cittadino britannico aveva minacciato «lei o suo figlio», quello stesso Bo Guagua che aveva aiutato a entrare prima nell’esclusivo collegio britannico di Harrow e poi all’Università  di Oxford. Ieri, nelle immagini trasmesse dalla tv si Stato, Gu ha dichiarato che «questo verdetto è giusto e rispettoso della legge, della realtà  e della vita». Il governo britannico si è limitato a far sapere che il giudizio «spettava alle autorità  cinesi» e i legali di Heywood hanno detto che rispettano la sentenza.
Il movente sarebbe quello già  prefigurato dai media cinesi: un litigio per affari (si è parlato di percentuali sull’esportazione di capitali all’estero) tra Gu e Heywood. Interessi economici che però sono rimasti a margine del processo, così come vennero cancellate le presunte bustarelle ricevute da aziende taiwanesi dalla famiglia di Bo – allora capo del partito nella città  di Dalian – scoperte negli anni Novanta dal giornalista Jiang Weiping, che pagò quelle rivelazioni con l’arresto.
Per semplice «pudore», per non fare luce pubblicamente su un caso di corruzione che coinvolgerebbe Bo, che ambiva a entrare nel Comitato permanente del politburo, il consesso di nove uomini che prende le decisioni più importanti per il Paese? Oppure perché Bo, anche se è ormai fuori dai giochi del prossimo Congresso, ha amicizie e sostegni pesanti all’interno di un Partito che non è saggio picconare alla vigilia di un importante ricambio generazionale? 
Mentre il Congresso, previsto per ottobre, si avvicina, Bo Xilai resta di fatto detenuto in una località  sconosciuta, sottoposto a provvedimento disciplinare per violazione delle norme di partito. 
Per i sostenitori di Bo, Gu è un capro espiatorio, il procedimento contro di lei è stato costruito su prove fragili e la donna, alla quale sono stati assegnati due difensori d’ufficio, sarebbe stata costretta a firmare all’ultimo minuto una confessione per evitare la fucilazione. Ironia della storia, nel 1998 la brillante e ricca avvocato Gu aveva pubblicato un libro nel quale lodava l’efficacia e la rapidità  nell’eliminare gli assassini della pena di morte alla cinese, contrapposta a quella statunitense, che arriva alla fine di lunghi processi con garanzie eccessive per gli imputati. 


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