COMPATITI E AMMIRATI
Due versi del famoso poeta scozzese Robert Burns sono diventati i più citati della sua intera opera. Tradotti dallo scozzese suonano così: «Oh, se Dio ci avesse dato il dono / Di vederci come gli altri ci vedono! ».
Vedere noi stessi come gli altri ci vedono permette di osservarci in un tipo particolare di specchio, non molto lusinghiero spesso, e che tuttavia mostra chiaramente l’effetto che abbiamo sugli altri. Quando questi “altri” sono di paesi diversi, possiamo farci un’idea di come siamo noi “britannici”, noi “americani”, noi “francesi”.
E gli “italiani”? Quando all’inizio di questa settimana Mario Monti in un suo discorso ha lanciato il monito che le altre nazioni potrebbero ritenere gli italiani astuti e disonesti soltanto perché molti di loro evadono le tasse, ha avuto ragione al 50%. È opinione condivisa, soprattutto nel nord Europa e nei paesi anglosassoni, che gli italiani di fatto, se riescono, evadono le tasse; che si aspettano che lo stato faccia molto, ma mettendo in conto di dargli poche risorse per farlo; e che comportandosi in questo modo – questa la principale preoccupazione di Monti – si considerano furbi, perfino padri di famiglia responsabili.
Monti, però, ha avuto anche torto al 50%, o quanto meno ha omesso di prendere in considerazione il risvolto di questo punto di vista. Per un’insieme di fattori – tra i quali una diffusa cortesia nei confronti degli stranieri, la tradizione di cantare ed esibirsi in pubblico, l’amore per le apparenze e la moda, il dono dell’amicizia, la bellezza del paese e il talento tutto italiano per ciò che è piacevole – le nazioni meno dotate in questo senso considerano gli italiani fortunati e affascinanti. Nello stereotipo comune, a una certa propensione all’astuzia sono associati aspetti più accattivanti, e da ciò deriva l’immagine di un paese felice, nel quale sicuramente esistono pecche e magagne, che tuttavia sono perdonabili, perché il risultato finale è gradevole e bene accetto.
Vorrei sottolineare però la parola “stereotipo”. Queste immagini non riflettono l’Italia. Silvio Berlusconi (che ha incarnato alcuni aspetti di questa “italianità ” che ho descritto, per quanto non in modo piacevole, per lo meno dal mio punto di vista) è italiano. Mario Monti è italiano. Qual è il “vero” italiano? Entrambi lo sono, o forse nessuno dei due. È pur vero che nazioni e popoli hanno le loro caratteristiche specifiche, ma le nazioni sono formate da milioni di individui diversi e, oltretutto, col passare del tempo cambiano. O c’è forse ancora qualcuno – a parte Il Giornale – che crede davvero che la Germania e i tedeschi non siano cambiati negli ultimi sessanta anni? O che gli olandesi siano quello stesso popolo di saccheggiatori che infierì nell’Europa del nord dodici secoli fa? O che gli australiani – molti antenati dei quali erano criminali trasportati laggiù duecento anni fa – siano una nazione di delinquenti?
Invece di illuminare i loro presunti oggetti, gli stereotipi accecano coloro che ci credono . Mario Monti non vede l’ora che gli evasori fiscali italiani smettano di gettare ulteriore fango sul loro paese, e paghino le tasse come è giusto, per il bene dei loro concittadini e dello stato. Se a Monti, terminato il suo incarico, subentrerà mai un sistema politico impegnato con tutte le proprie forze a continuare a esercitare pressioni sugli evasori e allo stesso tempo dare a tutti gli altri un esempio della propria onestà e sobrietà , allora questo stereotipo, questa immagine degli italiani, cambierà . Anche se, a essere sinceri, l’eventualità di una simile rivoluzione appare ancora come un grande punto interrogativo.
Traduzione di Anna Bissanti
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