by Editore | 2 Agosto 2012 15:11
Questo è quanto affermato dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini che ieri alla Camera ha riferito sulla situazione del siderurgico, finito sotto inchiesta e sotto sequestro dopo i provvedimenti della magistratura tarantina.
In tutta onestà , non si capisce in base a cosa il ministro Clini affermi tali teorie. Visto che la perizia dei chimici si basa su quanto osservato dal giugno 2011 al mese di gennaio e quella degli epidemiologi su un periodo che va dal 1998 al 2010. Inoltre, il continuo riferimento al passato rischia di trasformarsi in un clamoroso autogol, visto l’incarico ricoperto dal 1991 al 2011 dallo stesso Clini: direttore generale del ministero dell’Ambiente. Proprio quel ministero che lo scorso 4 agosto concesse quell’Aia che oggi tutti vogliono andare a rivedere e correggere. E contro la quale l’Ilva ha presentato ricorso al Tar di Lecce, peraltro accolto in parte dallo stesso tribunale. Dunque il vero problema è un altro. E Clini non ha timore ad ammetterlo: «L’Ilva è un impianto strategico per la siderurgia in Italia e molto importante a livello internazionale. I competitori sono francesi e tedeschi. Io credo che queste considerazioni debbano essere tenute presenti”». Ciò che appare certo, dunque, è il problema economico che scaturirebbe da un’eventuale chiusura dell’area a caldo dello stabilimento. Per quanto riguarda invece gli impatti sull’ambiente e sulla salute, per Clini si é ancora molto lontani dall’oggettività : «La situazione dell’Ilva ha evidenti impatti ambientali e probabili impatti sulla salute che vanno messi in relazione alle normative del tempo e alle autorizzazioni nel tempo ricevute dagli impianti, come è accaduto per tutti gli impianti del genere in Europa». Un ragionamento un po’ contorto, con Clini che ha osservato come la fabbrica sia stata «progressivamente autorizzata nelle sue diverse fasi secondo le leggi vigenti, per cui parte delle problematiche rilevate dalle indagine epidemiologiche danno conto di uno stato della salute della popolazione con evidenti eccessi di mortalità che fanno riferimento presumibilmente a contaminazioni derivanti da impianti che operavano nel rispetto delle leggi». Il che non cambia la sostanza del problema. Perché l’Italia ha dei limiti molto al di sopra di quelli previsti in altri paesi. Dunque, lo Stato ha consentito all’Ilva di inquinare, pur sapendo le conseguenze che ciò avrebbe avuto sull’ambiente e sulla salute della popolazione. Ed è proprio quello che la magistratura vuole evitare per il futuro. Su una cosa però Clini non sbaglia: quando punta il dito contro le lungaggini della burocrazia italiana nelle procedure di valutazione ambientale che sono «molto lunghe se comparate con altri paesi europei e rischiano di essere fuori fase rispetto a investimenti in tecnologie». Stesso discorso per le bonifiche, che prevedono «procedure complesse, poco lineari», con il processo sull’area dell’Ilva «iniziato nel 2003 e non ancora concluso». Procedure, ha concluso il ministro, «che non danno risultati: su 57 siti da bonificare sono 3 o 4 casi di bonifiche avviate e 2 quelle realizzate». Intanto oggi Clini sarà a Bari per partecipare ad una riunione presso la presidenza della Regione, dove incontrerà i rappresentanti istituzionali, l’azienda e i sindacati, per fare il punto della situazione.
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