Ciao Renato, speriamo che prima o poi i tuoi “compagni” smettano di dimenticarti…

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Ti ha dimenticato questa città , che avevi tirato letteralmente fuori per i capelli dalla fossa depressa e spenta degli anni di piombo. Ti ha dimenticato la sinistra, alla quale avevi indicato un mondo che non conosceva, chiusa nel grigiore in cui vegetava e nel quale è rapidamente tornata dopo le tue estati romane. Ti ha dimenticato il tuo partito, che ha cambiato nome, strategie e missione ma si è portato dietro per intero il torvo dna che la tua politica, effimera solo nel nome, aveva per un attimo incrinato.

Si può e si deve dire il contrario: speriamo che prima o poi smettano di dimenticarti. Speriamo che capiscano la lezione di quel trionfo che fu negli anni ’80 l’estate romana: e cioè che un’amministrazione intelligente, creativa e coraggiosa può fare miracoli. Può svegliare un’intera metropoli, restituirle gioia vitalità  e curiosità , indirizzarla su strade che dopo un po’ diventano utili e produttive anche nei soli termini che questi cadaveri ambulanti conoscono: il pil, lo sviluppo, la crescita.

Per un breve istante, grazie al tuo esempio, gli assessorati alla cultura erano diventati, negli anni ’80, il centro vitale delle amministrazioni, e per l’ultima volta l’Italia era stata un Paese moderno e all’avanguardia, pronto a cogliere le trasformazioni non solo dei linguaggi delle culture e dei codici della comunicazione di massa ma anche dei processi produttivi, di uno sviluppo economico che per la prima volta metteva direttamente in produzione i saperi e la spettacolarità .

Quando, vinto dalle esigenze della politichetta, quel modello è tramontato, anche Roma, Milano e l’Italia sono precipitate in fondo all’elenco dei paesi che arrancano inseguendo una modernità  malintesa. Sono diventate il Paese di Berlusconi, D’Alema e anche Veltroni: così immensamente distante da quello di Renato Nicolini.


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