by Editore | 5 Agosto 2012 8:28
Nella lunga e turbolenta carriera politica di Winston Churchill gli insuccessi sono stati più numerosi dei successi. La sua vicenda è affascinante esattamente per questo alternarsi di fortune e sfortune. Negli anni Trenta sembrava un politico in declino, finito in un buco nero da cui era impossibile tirarsi fuori. Ma dopo pochi anni venne chiamato a guidare il suo Paese nell’ora più difficile della sua storia. Quando Neville Chamberlain, col suo aspetto lugubre e anche un po’ jettatorio, cercò ancora una volta di difendere in Parlamento la politica dell’appeasement dopo che i tedeschi avevano infranto il Patto di Monaco, venne fischiato e zittito. E molti deputati, rivolgendosi a Winston, che stava seduto in silenzio gli urlarono: «Winnie, parla tu per l’Inghilterra».
In una recente biografia del premier, John Keegan, il più reputato storico militare inglese del secolo scorso dopo Basil Liddell Hart, che da ragazzo era stato immune dal mito churchilliano, ha confessato che sentendo per la prima volta i suoi discorsi registrati («Noi combatteremo nelle strade, combatteremo sulle spiagge, noi combatteremo sulle colline, noi non ci arrenderemo mai») era rimasto come avvolto da un inaspettato orgoglio di essere nato in Inghilterra. Ancora oggi nei sondaggi sui giornali Winston, con tutta la sua arroganza e i suoi errori, rimane in testa alle classifiche dei massimi eroi britannici, insieme con Horatio Nelson. La sua vicenda ricorda ciò che disse Gide quando gli chiesero chi fosse il più grande poeta dell’Ottocento: «Hugo, helas!», «Hugo, ahimè!». Hugo era stato spesso retorico e trombone, ma rimaneva sempre il migliore. Così è successo con Winston. Gli storici non solo inglesi si sono spesso domandati come riuscisse a uscire indenne da tanti disastri, come quello dello sbarco di Gallipoli. E come riuscisse con la sola forza della sua personalità a incantare astuti e cinici professionisti della politica e a costringerli a seguirlo anche fino all’inferno. Una delle chiavi del suo fascino è stata la stratosferica sicurezza in se stesso. Credeva di avere una sorta di tocco magico, qualcosa di simile al “Nelson touch” per far andare l’impresa a buon fine. Era un uomo interamente dedicato alla politica e alla storia perché aveva molto tempo a disposizione. In un periodo in cui la maggioranza dei maturi uomini politici inglesi andava alla ricerca del sesso con segretarie, infermerie, attrici, o puttane, Churchill si distingueva per non essere interessato all’argomento. Il suo sexual drive era quasi inesistente, e non guardava mai le donne a eccezione di sua moglie Clementine.
Adesso è uscito un libro divertente e anche molto informato che s’intitola Dinner with Churchilldi Cita Stelzer. Winston, nato in un’epoca vittoriana, era diventato edoardiano per gusti e scelte. E uno dei riti più amati dell’epoca edoardiana erano i pranzi in pompa magna che si svolgevano in splendide magioni su immensi tavoli di mogano ricoperti di preziose tovaglie ricamate e illuminate da candelabri d’argento, con camerieri in alta uniforme che versavano il “Claret” e gli invitati in abito da sera con le code che sedevano su poltrone con braccioli per conversare con agio e a lungo senza stancarsi. Churchill si era reso conto da giovane che non era il parlamento, pur amatissimo, ma la cena il luogo dove rifulgevano tutte le sue qualità : intelligenza, abilità aneddotica, humour, fantasia e non ultima la capacità di bere qualsiasi cosa rimanendo lucido. Durante la Reggenza l’etichetta prevedeva che a tavola non si parlasse di politica. Churchill rovesciò l’etichetta e durante i pranzi si parlava solo di politica. John Maynard Keynes, un uomo non facilmente impressionabile dall’intelligenza e dall’eloquenza altrui, nel 1940 dopo aver incontrato Churchill a una cena scrisse alla madre: «Sono rimasto a conversare con lui due o tre ore. L’ho trovato in perfette condizioni, con un atteggiamento di un essere umano normale. Non gonfiato da arie dittatoriali o guerresche. Non c’è nessuna traccia dell’insolenza che aveva dimostrato David Lloyd George subito dopo essere diventato primo ministro». I pranzi di Churchill si svolgevano ai Chequer, le residenze di campagna del primo ministro, e più tardi a Chartwell, la casa di campagna privata acquistata con i proventi della vendita delle sue storie d’Inghilterra. Uno degli ospiti ai Chequer ci ha lasciato una descrizione della classica serata in casa Churchill: «Dalle otto e mezzo alle nove abbiamo bevuto alcuni drink con la signora Churchill. Poi siamo andati a cena rimanendo al tavolo oltre le dieci. Infine le signore si sono trasferite in altra stanza, mentre iniziava la parte più divertente della serata, con Churchill in gran forma che ci ha intrattenuto nella sua inimitabile maniera. Alle undici è iniziata in biblioteca la proiezione di un film e all’incirca verso mezzanotte e mezzo abbiamo bevuto il bicchiere della staffa con le signore e finalmente all’una ci siamo trasferiti in una grande stanza mentre Churchill diceva “Adesso mettiamoci a lavoro” e abbiamo parlato fino alle tre o alle quattro del mattino. Gli altri ospiti erano ministri, un importante visitatore straniero e svariati capi di Stato maggiore».
Churchill invitava anche al Savoy, negli anni in cui uno scrittore dandy come Cyril Connolly, richiesto di dire le tre cose per cui vale la pena di vivere, aveva sentenziato: «Scrivere un libro, una cena al Savoy e un viaggio nel Mediterraneo». In questi pranzi si conoscevano tutti o quasi tutti e quando si prendeva una decisione, mangiando le gallette spalmate di Stilton e bevendo Porto, questa aveva valore di legge. E anche se veniva inviata all’approvazione del popolo sovrano, che di sovrano non aveva nulla, era un atto formalmente necessario ma in concreto inutile, perché era già deciso tutto. Certe performance di Churchill sono rimaste memorabili come scene di teatro. Lo scrittore James Lees-Milne, che aveva una volta cenato a Chartwell, ha raccontato che finita la cena per due ore Churchill ricostruì la battaglia dello Jutland sul mogano della tavola intingendo l’indice nel vino rosso (Alexander Korda si ricordò di questo episodio quando girò in Le quattro piume la scena del generale che raccontava la carica della Light Brigade a Balaclava nella stessa maniera). La cucina servita in quasi tutte queste occasioni aveva un impianto francese con poche contaminazioni inglesi come il roast beef. Si beveva Bordeaux e molto champagne targato Pol Roger, il preferito di Winston. Churchill aveva una notevole dipendenza dallo champagne e dai sigari e la mattina da vero edoardiano non prendeva il tè ma mangiava una pernice arrosto innaffiata da una bottiglia di Pol Roger. I pranzi variavano a seconda della qualità degli ospiti e della loro nazionalità . Una volta Churchill riuscì a dare una cena per i russi bolscevichi, dopo che questi avevano rinviato l’incontro per due o tre volte. Quando venne servita la pièce de résistance, costituita da un pasticcio di carne, preparato giorni prima e che aveva un aspetto nauseabondo, Churchill si rivolse al cuoco dicendo: «Forse questi brani della carne di Tutankamen avreste fatto meglio a lasciarli nella tomba».
Ripeteva spesso che durante la guerra se avesse avuto la possibilità di cenare ogni settimana con Stalin i problemi della difficile alleanza si sarebbero risolti. Ma fu proprio con Stalin che il suo magnetismo non funzionò. A Yalta l’abilità dialettica e l’aneddotica del primo ministro inglese non valse a smuovere i duri propositi della coppia Stalin-Molotov. La richiesta di lasciare che la Polonia conquistata dall’Armata Rossa non rientrasse nell’orbita sovietica fu respinta. Churchill aveva fatto il possibile. Ma Stalin vedeva in lui il rappresentante di un Paese che non era più una grande potenza come l’America e che avrebbe perso entro poco tempo tutte le sue colonie. Un Paese che andava ridimensionato nelle sue pretese ritornando a essere una modesta ed eccentrica isola abitata da off shore islanders.
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