Cellule bambine tra miracoli e flop il business delle cliniche della speranza

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ROMA — Le “cellule sempre bambine” sanno crescere, trasformarsi in ogni tessuto del corpo e riparare gli organi danneggiati. Grazie alla loro prodigiosa capacità  di moltiplicarsi, le staminali negli ultimi dieci anni si sono ritagliate un ruolo di star nella medicina. Peccato solo che la scienza viaggi a un passo più lento della speranza. In un decennio gli studi hanno permesso di svelare gli aspetti fondamentali della loro biologia e di azzardare i primi esperimenti sull’uomo. Ma nessun paziente paralizzato si è ancora alzato. Anzi, in qualche caso l’infernale capacità  proliferativa delle staminali ha provocato tumori.
In questa differenza di passo fra la prudenza della medicina e la fretta di pazienti senza prospettiva di cura si sono infilate le “cliniche della speranza”, che a prezzi tra i 20 e i 60mila euro promettono cure contro Parkinson e Alzheimer, diabete, autismo, paralisi e perfino calvizie. Sono istituti privi dei permessi per effettuare trattamenti ad alto rischio. Si sono diffusi a partire dal 2005, dapprima in Cina, sud-est asiatico, Europa orientale. Poi in Germania e negli Usa. Ora anche in Italia. La loro pubblicità  viaggia su internet, grazie a video con le testimonianze dei pazienti sedicenti “miracolati”. Anche a Brescia tra il materiale sequestrato è spuntato un filmato con le evoluzioni di un ballerino russo guarito dal Parkinson.
«Risultati controversi, speranze dei pazienti e aspettative esagerate. Nelle staminali ci sono tutti gli ingredienti per un mix esplosivo » ammette George Daley del Children’s Hospital di Boston, uno dei pionieri del settore. Da presidente della Società  internazionale per la ricerca sulle cellule staminali, nel 2008 Daley varò una
task force contro i “venditori di olio di serpente”. «Abbiamo pubblicato sul sito un manuale di consigli per i pazienti. Volevamo lanciare un censimento delle cliniche inaffidabili, ma siamo stati bloccati dalle minacce di querela. Contro questi istituti purtroppo non c’è molto da fare. Ho conosciuto centinaia di pazienti condannati
da malattie fatali e disposti a sborsare ogni cifra: prede ideali per gli sfruttatori».
Nel 2008 un giornalista del Telegraph malato di sclerosi multipla raccontò la sua esperienza in una clinica della speranza a Dusseldorf. Gli venne offerta una cura per 19.500 euro e i suoi articoli spinsero Berlino a chiudere l’istituto, avviando un’indagine per la morte di un bimbo di 18 mesi subito dopo l’iniezione di staminali nel cervello. Due anni dopo fu la Rnl Bio a finire in tribunale per il decesso di due pazienti. «Ma stabilire il nesso fra trattamento e morte non è mai facile» spiega Giulio Cossu, ex direttore dell’Istituto per le staminali al San Raffaele, ora all’University College London. «L’unico caso provato nel 2009 riguarda un ragazzo israeliano che si rivolse a una clinica russa. Fu colpito da un tumore del sistema nervoso centrale dopo il trattamento con staminali di origine incerta, provenienti da almeno due donatori».
Il profilo dei pazienti che si rivolgono a una clinica della speranza è cambiato con il tempo. Non sono più solo persone colpite da malattie gravissime. Il governatore del Texas Rick Perry nel 2011 si sottopose a un trattamento non autorizzato: l’iniezione di staminali prelevate dal suo stesso tessuto adiposo per curare un mal di schiena. Negli stessi giorni il campione di football Peyton Manning, martoriato dagli infortuni al collo, prese il suo jet privato e volò in Europa per un trattamento vietato negli Usa. Ma un conto è farsi iniettare staminali prelevate dal proprio corpo (con rischi ridotti), un altro subire il trapianto di staminali adulte altrui (come nel caso di Celeste), o prelevate da feti abortiti. Le capacità  proliferative delle staminali (così come i pericoli) sono infatti massime alla nascita e si riducono in un donatore adulto.
«Prima di Brescia — racconta Cossu — in Italia fu Luca Coscioni a sottoporsi ad autotrapianto di staminali». Il fondatore dell’associazione
che porta il suo nome, morto di Sla nel 2006 a 38 anni, fu trattato a Torino nel 2001. «Si sperava — spiega Cossu — che le staminali del midollo avessero proprietà  anti-infiammatorie e ritardassero la malattia. Mi capitò di chiedergli come si sentisse dopo l’intervento. “Uguale”, mi rispose ». Oggi Cossu sta sperimentando un trattamento su tre pazienti con distrofia muscolare. E proprio negli Usa è stato appena approvato un test per contrastare l’autismo con le cellule del cordone ombelicale. «Nessuna parola in anticipo sui risultati» taglia corto Cossu. «Anche ai pazienti che mi scrivono ripeto che nessuno si alzerà  dalla sedia a rotelle dall’oggi al domani e che le sperimentazioni devono essere portate fino in fondo. Diffondere illusioni fa male, prima di tutto a loro».


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