Cantano e ballano, 17 decapitati in Afghanistan il terrore dei Taliban

by Editore | 28 Agosto 2012 14:44

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Le donne e la musica. Più che odiarle, le temono. Perché rappresentano il diverso e quindi l’ignoto. Ma è una paura così profonda da entrare a pieno titolo nei precetti religiosi che non ammettono deroghe e non offrono dubbi. Sono il Male. E il Male si combatte con la morte.
Raggiunto da una soffiata, un folto gruppo di Taliban del distretto di Musa Qala, nella regione meridionale dell’Helmand, ha deciso di punire i partecipanti ad una festa privata dove si ballava, si ascoltava musica e si assisteva allo spettacolo offerto da due danzatrici. Diciassette persone, tra cui le due ballerine, sono state bloccate, legate e poi decapitate. Qualcuno ha avvisato la polizia che solo ieri mattina, dopo lunghe ore di valutazioni e sotto forte scorta, ha deciso di recarsi sul posto scoprendo il massacro. La cosa colpisce. Perché al di là  dell’orrore per la strage conferma la lenta e inesorabile avanzata culturale e ideologica dei seguaci del Mullah Omar in un paese che hanno dominato per sei anni e che la stragrande maggioranza degli afgani ormai da tempo non vuole più. Nell’Helmand, la regione che offre il più alto numero di combattenti per la jihad e dove sorge la più estesa coltivazione di papavero da oppio, le truppe Usa e della Nato hanno più volte tentato di erodere terreno ai Taliban. Con operazioni spettacolari, spedendo sui sentieri pieni di sassi, sabbia e polvere migliaia di uomini e di mezzi; cercando un dialogo con gli
elder e i capi tribù ai quali restituivano i villaggi riconquistati.
Ma i risultati sono stati deludenti. I Taliban sono padroni di quelle terre. Ci sono nati, cresciuti e continuano a viverci. Impongono le loro regole: sono lo strumento per controllare e gestire la popolazione. Niente cultura, scuole da chiudere, alunni e maestre ostinati da uccidere con il veleno. Ci sono decine di casi. Molti, nelle regioni più isolate, non vengono nemmeno più denunciati. Ma nonostante la loro opposizione a qualsiasi aspetto legato alla cultura occidentale, gli insorti restano curiosi e un po’ nostalgici. Non tanto del potere perduto che gestivano senza molto interesse, lasciando che il tempo e la tradizione compissero il loro corso. Ma per le trasgressioni che la capitale liberata dalla tirannide taliban a loro parere offre ad ogni ora.
Come le donne. Tra loro ne parlano in continuazione. Anche se nelle terre che dominano non si vedono mai. Le poche che si notano
lungo i sentieri dei villaggi del cuore dell’Helmand sfilano come ombre lungo i muri. Sempre avvolte dai burqa e sempre accompagnate. Erano e restano figure estranee, di cui diffidano. I Taliban le considerano destabilizzanti. Per l’armonia dei ragazzi freschi di Corano e pronti ad immolarsi nella jihad, per i dubbi che possono sollevare, per le rivalità  che scatenano nel gruppo compatto di soli uomini.
Ed è sempre stata una donna la causa dell’ennesima reazione di un soldato afgano che ha puntato il suo fucile contro dei colleghi americani e ne ha uccisi due. Era impegnato in un posto di controllo. I militari statunitensi hanno insistito nel perquisire anche una passeggera a bordo di un’auto. C’è stata una discussione che alla fine è degenerata. Capita spesso. Nel gergo militare si chiamano “green on blue”: gli attacchi da parte dei soldati amici. Afgani dell’esercito regolare che si ribellano
ai loro istruttori: 42 casi dall’inizio dell’anno. Dodici solo nel mese di agosto. Insofferenza, malessere, disagio. Dodici anni di guerra esaltano differenze culturali, approcci,
visioni. I Taliban ne approfittano. Hanno sferrato un attacco ad una postazione militare sempre nell’Helmand. Dodici soldati afgani sono morti, quattro sono fuggiti con le divise e le armi e si sono uniti agli insorti. È stato uno dei militari di Kabul a fornire le informazioni utili all’attacco. Anche questo capita sempre più spesso. Nel giugno scorso ci fu un blitz in un albergo sulle sponde del lago Qarqa, vicino a Kabul. Si diceva che ospitava festini con musica e danze. I Taliban bloccarono tutti i presenti. Chiesero quali fossero le «prostitute» e i «ruffiani». Poi decapitarono 20 persone. Come a Musa Qala. Donne e musica vanno messe al bando. Gli unici spettacoli ammessi sono quelli che organizzano tra loro. Con soli uomini. Allietati da ragazzetti che danzano al ritmo di nenie prive di musica. Nessuno osa ribellarsi. Tutti guardano con ansia al 2014 quando inizierà  il ritiro delle forze della Coalizione e l’Afghanistan deciderà  il suo futuro. Con lo spettro di un ritorno degli studenti delle madrasse.

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