Avvocati, Ingegneri, Architetti I Praticanti vanno a Scuola per 200 ore (facoltative)

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Era diventato uno spauracchio per tanti. Il tirocinio obbligatorio per tutte le categorie professionali aveva agitato le notti delle professioni tecniche: architetti e ingegneri, per esempio, non prevedono tirocinio e avrebbero dovuto introdurlo con il conseguente aumento della tempistica dell’inserimento professionale. 
La questione tirocinio non è un dettaglio da poco, riguarda circa 200 mila praticanti del nostro Paese, una quota che può apparire bassa rispetto ai più di due milioni di professionisti in attività  su tutto il territorio, ma un numero per nulla risicato se si considera che le professioni tecniche non prevedono tirocinio e che una larga fetta dei professionisti italiani sono pubblici dipendenti e quindi non possono accettare praticanti. Ma davanti a un progetto di riforma così ampio le critiche non arrivavano solo dai tecnici ma anche da altre categorie: la maggiore obiezione era legata al fatto che, nella precedente versione della riforma, era previsto un periodo di sei mesi di tirocinio da svolgere durante l’ultimo anno di Università  e un corso di formazione di 200 ore a frequenza obbligatoria. Troppa teoria che avrebbe ridotto al nulla la pratica presso gli studi professionali. Questa la critica unanime di tutte le professioni. 
La versione definitiva della riforma invece ha decisamente cambiato rotta. Stop al tirocinio obbligatorio per tutti. Il Decreto che riforma le professioni, approvato il 3 agosto dal Consiglio dei ministri, ha messo la parola fine a un percorso iniziato quasi due anni fa con il precedente ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e completato con l’attuale titolare del Dicastero di Via Arenula, Paola Severino. 
La stesura finale del testo ha accolto molte delle richieste formulate dagli Ordini, a cui si era aggiunto anche il parere del Consiglio di Stato. Il punto più dibattuto è stato proprio quello dell’equilibrio tra studio teorico e pratica professionale. Nella precedente versione del testo il tirocinio si doveva svolgere negli ultimi sei mesi dell’ultimo anno del percorso di studi dell’università , con l’aggiunta di un corso di formazione di 200 ore a frequenza obbligatoria, che sembrava rendere la preparazione del praticante troppo teorica e quindi poco in linea con i parametri professionali. 
Nella versione definitiva salta l’obbligatorietà  del tirocinio per gli ordini che non lo prevedono nei propri ordinamenti. Nell’articolo 6 del nuovo testo, il tirocinio ha una durata massima di 18 mesi, e può essere svolto per un periodo non superiore a sei mesi, presso enti e professionisti di altri Paesi. Prevista anche la possibilità  di svolgere il tirocinio in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea, sulla base delle convenzioni tra i Consigli nazionali competenti e il Miur, e presso Pubbliche amministrazioni, per i primi sei mesi. Il corso di formazione di 200 ore a frequenza obbligatoria diventa invece facoltativo: ai Consigli nazionali la facoltà  di autorizzare specifici corsi di formazione professionale organizzati da enti esterni, previo parere vincolante del ministero vigilante. 
Un bilancio decisamente positivo per le categorie professionali. «Dopo una prima lettura del testo non posso che esprimere la nostra soddisfazione perché le criticità  che avevamo esposto sono state chiarite — ha dichiarato il presidente del Comitato unitario delle professioni, Marina Calderone —. Ad esempio la previsione di un corso di formazione di 200 ore, presente nella precedente versione del testo: un’operazione che si traduceva nel sottrarre il giovane all’attività  di studio, e quindi nell’impoverimento dell’esperienza tecnico-professionale che si può maturare in un contesto lavorativo. Preoccupante era la scelta di attribuire anche a non meglio definite associazioni di professionisti la possibilità  di proporsi come formatori: con l’attuale versione del decreto si è raggiunto un buon equilibrio». 
Adesso, riformato il tirocinio d’accesso alle professioni, il compito più difficile sarà  cercare di offrire un futuro professionale degno di questo nome alle migliaia di giovani che si sono sobbarcate un lungo (e costoso) percorso formativo e che rischiano di galleggiare in un limbo di precarietà  ancora per tanti anni. Ma per ottenere questi risultati una semplice riforma delle professioni da sola non basta.


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