by Editore | 4 Agosto 2012 10:00
Dopo cinque anni, lo scrittore inglese Ewan Morrison si è stancato, e attacca: «Il self publishing è un esempio di privatizzazione della cultura e dell’atomizzazione dell’individuo sotto il consumismo. Gli autori autopubblicati sono i veri NeoCon». La polemica esplode sul Guardian, dopo un lungo articolo (“Perché i social media non sono la bacchetta magica per gli scrittori che si autopubblicano”) che vede, nei commenti, anche la partecipazione indispettita di molti eroi del self publishing come Joe Konrath. Ma l’accusa di Morrison è estremamente documentata: in cinque anni, racconta lo scrittore, i guru del web hanno ripetuto che i social media erano l’unica strada per vendere libri. E anche se la profezia veniva da autori di corsi di marketing multimediale venduti, a loro volta, a caro prezzo, trovava e trova largo credito. Basta televisione, basta carta, viva la rete, viva l’autopubblicazione. «Ogni quattro tweet ne ricevo uno da un autore indipendente che mi scrive:
sperando in uno sfrontato retweet del mio ultimo messaggio sul mio libro in offerta a 99 pence. Grazie mille».
Ma non è una questione di noia, bensì di soldi: che non vanno certo agli speranzosi scrittori. Perché, sostiene Morrison, il self publishing è una bolla che scoppierà nei prossimi diciotto mesi «inestricabilmente intrecciata con il marketing dei social media». Crollati questi ultimi, svaniranno anche i sogni
degli scrittori. Comunque sia, Morrison decide di mettere in pratica i consigli del bravo autopromotore, in compagnia di alcuni colleghi spinti al marketing fai da te dai propri editori. Per prima cosa, fa due conti e cerca di capire come funziona davvero una delle prime regole, quella dell’80/20, secondo la quale un autore deve trascorrere il 20% del proprio tempo a scrivere e l’80 ad autopromuoversi su Facebook e Twitter. Ma di questo 80%, viene specificato, solo il 20 deve essere impiegato a lodare i propri libri, per non offendere troppo gli eventuali acquirenti: dunque, l’80% dell’80% va utilizzato per parlare di quel che ai navigatori piace. Gatti. Cibo. Sport. «Quanto tempo resta per scrivere? Dal momento che molti autori autopubblicati hanno un lavoro, tre ore al giorno. 1095 ore l’anno. Se le riduciamo a quel 20% da dedicare alla scrittura, 219 in un anno. Diciotto giorni». Ammettiamo che siano sufficienti, e proviamo a utilizzare la maggior parte del tempo sui social media, cominciando da Twitter. «Solo il 10% dei tweet vengono ritwittati », scrive Morrison. Colpa dell’utente? È quello che viene sostenuto dalle compagnie di marketing che si sono trasferite in rete e che propongono di insegnarti a usare Twitter per centinaia di sterline, o di farlo al tuo posto: cinque tweet al giorno da cinque account diversi. 29 dollari al giorno, 10.000 sterline l’anno. Non funziona ancora? Ti viene consigliato di «innescare gli algoritmi di Amazon », cercando di ottenere trenta o cinquanta o cento recensioni favorevoli. «Te lo spacciano come un trucchetto segretissimo, ma il concetto è quello di contattare tutti i tuoi amici di Facebook chiedendo loro di postare recensioni». Peccato che non funzioni: «Finchè “facebolla” controlla le tue azioni online, non importa se hai mille amici o cento, vedrai gli aggiornamenti solo di due dozzine di persone che hai recentemente contattato». Insomma, il rischio è di rivolgerti ai compagni di scuola e ai parenti, e di sprecare il tuo tempo a vendere non più di dieci libri. Puoi fare altro. Comprare annunci a pagamento su Facebook («un mio collega, in due mesi, ha ottenuto 490 “mi piace” e venduto tre libri»). Uno studio Reuters, inoltre, dimostra come quattro utenti Facebook su cinque non abbiano mai comprato nulla dopo aver letto un annuncio o un commento. «Facebook non è in grado di monetizzare i suoi novecento milioni di utenti. Come dice Pat Kane, l’idea di trasformare Internet in un business è un terribile equivoco». Certo, puoi insistere. Puoi comprare recensioni per Amazon: «su Fiverr c’era un annuncio di questo tenore: “scrivo due recensioni da due account diversi per cinque dollari, su qualsiasi testo”. Uno dei miei editori è stato avvicinato da una compagnia che gli ha offerto trenta recensioni per cento sterline». Puoi anche provare la via della parziale gratuità : «un altro collega ha pubblicato un libro gratis e ha ottenuto 700 download in quattro ore. Il giorno dopo ha dato un prezzo al libro, 4,99 sterline. Nelle successive tre settimane, non ha venduto neppure una copia». Ci sono i dati, del resto: anche se le vendite degli e-book crescono del 366%, nel 2011 solo settanta autori self-published hanno venduto più di 800 copie al mese. La metà degli scrittori autopubblicati guadagna meno di 500 dollari l’anno, 320 sterline, 87 pence al giorno. «Se scendi in strada tutti i giorni con il tuo libro in mano e provi a venderlo a 88 pence, guadagni di più». Di fatto, denuncia Morrison, nella “nuova” self-editoria si ripropone lo stesso meccanismo di quella tradizionale: pochi che vendono molto, molti che vendono pochissimo. La differenza è che le multinazionali della rete possono capitalizzare milioni di piccole vendite da milioni di piccoli autori. E allora? «Vuoi spendere l’80% dell’80% del tuo tempo parlando di gatti su Facebook nella speranza di incrementare del 2% le vendite di un libro che hai scritto in diciotto giorni e facendo propaganda all’industria dei social media? O vuoi essere al cento per cento uno scrittore?». Segue dibattito.
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