Anche i migranti lasciano l’Italia

by Sergio Segio | 6 Agosto 2012 14:16

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Se ne vanno via tutti: operai, badanti, infermieri. E perfino prostitute. In quattro anni, si è ridotto di oltre tre quarti il numero di arrivi ed è aumentata notevolmente la quantità  di partenze. «Per noi, non è rimasto più neanche il lavoro in nero», racconta Lando Alfonso, angolano di 28 anni, in procinto di partire per Saint-Denis. «In Francia ci sono possibilità  e assistenza, spero un giorno però di tornare in Angola: adesso, il mio paese sta crescendo e il lavoro si trova facilmente». E’ la realizzazione del sogno della Lega, visto che la diaspora interessa soprattutto il Nordest, paradossalmente nel passaggio storico più drammatico per il partito guidato – ove consentito – da Bobo Maroni: slogan come “Padroni a casa nostra”, “Gli indiani non hanno fermato l’invasione e adesso vivono nelle riserve”, “L’orda no” o l’arguto invito “Fuori dalle balle” fotografano oggi l’attualità  sociale del Bel Paese. Infatti, gli stranieri stanno tornando a casa. O perlomeno abbandonano l’Italia. I NUMERI. Al 1° gennaio 2012 gli extra-comunitari regolari in Italia erano 3,6 milioni: si calcola che complessivamente gli stranieri presenti sul territorio nazionale siano poco più di 5 milioni. Al netto degli arrivi, il saldo migratorio (cioè la differenza tra chi arriva e chi parte) è ancora positivo: secondo l’Istat, tra il 2011 e il 2012 il numero di cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti è aumentato di circa 102 mila unità . Ma questa grandezza va contestualizzata: tra il 2005 e il 2010 il saldo migratorio si attestava mediamente sulle 330mila unità , con picchi di mezzo milione per anno nel 2007 e nel 2008: questo significa che – nonostante le nuove leve migratorie provocate dalla “primavera araba” e l’emigrazione crescente dei nostri connazionali – arriva in Italia solo uno straniero su quattro rispetto a poco meno di un lustro fa. Un altro segnale di questo fenomeno è che nel 2011 sono stati rilasciati 361.690 nuovi permessi, quasi il 40% in meno rispetto al 2010. Un quadro che interessa soprattutto le regioni del Nordest, dove le autorizzazioni concesse tra il 2010 e il 2011 si sono praticamente dimezzate (da 170 a 83mila). E soprattutto, i nuovi permessi rilasciati per motivi di lavoro sono crollati del 65%. Inoltre, secondo i primi dati del censimento, al 9 ottobre 2011 sono scomparsi quasi un milione di stranieri rispetto all’iscrizione anagrafica. Volatilizzati. Probabilmente, sono tornati a casa. Secondo un’analisi della Fondazione Ismu, in Lombardia dieci immigrati su cento dichiarano l’intenzione di trasferirsi dall’Italia entro 12 mesi: se applicassimo questi numeri a livello nazionale, significherebbe un rientro potenziale, ogni anno, di 150mila stranieri. E visto che l’analisi riguarda la regione che ospita oltre un quinto degli immigrati in Italia e una tra le tre che offre più lavoro agli stranieri, significa che sono le intenzioni di medio e lungo periodo ad essere mutate. «Abbiamo registrato un aumento significativo delle domande per l’ammissione al programma di rimpatrio volontario assistito – conferma Carla Olivieri, responsabile della Rete italiana per il ritorno volontario assistito (Rirva) – che ha portato l’autorità  responsabile del ministero dell’Interno ad aumentare i posti disponibili: oggi sono addirittura quintuplicati rispetto al 2009». Rirva, capofila del consorzio “Idee in rete”, fa parte di un progetto cofinanziato dal Fondo europeo rimpatri e ministero dell’Interno, attuato in partnership con Cir, Oxfam, Gea. Il suo compito, come quello di altre realtà  come l’Organizzazione internazionale per la migrazione, è di agevolare il ritorno a casa degli immigrati che ne abbiano intenzione. Nel 2012 gli stranieri che aderiranno al programma saranno appena un migliaio ma l’incremento di richieste è notevole: tant’è che per la prima volta il governo italiano «ha deciso di assegnare il 50% dei fondi dell’Unione europea destinati ai rimpatri (circa 12 milioni di euro, da dividersi tra rimpatrio forzato e volontario) a quelli di natura volontaria, mentre fino all’anno scorso i rimpatri forzati assorbivano il quintuplo delle risorse», precisa la Olivieri. LE PERSONE. Se ne vanno soprattutto rumeni (circa 7mila nel 2010, sei volte di più rispetto al 2006), quindi marocchini, cinesi (nell’ultimo anno, il 50% in più), albanesi e polacchi. Seguono, in generale, sudamericani e cittadini dell’Africa sub-sahariana. Quali lavori svolgono? Secondo le rilevazioni indicative dell’Ismu, si tratta di operai agricoli e generici, di edili, ma anche di artigiani, addetti ai trasporti e di badanti. In particolare, spiccano i disoccupati e cominciano a tornare a casa anche le prostitute. Perché partono? In linea di massima, ogni immigrato sogna di tornare un giorno a casa, ma in questo caso basta guardare il Pil di alcune tra le nazioni interessate dai ritorni: nel 2011, in Angola è cresciuto del 2%, in Marocco ed Ecuador del 3%, in Albania e Polonia del 4%, in Cile del 5%, in Brasile e in Perù dell’8%, in Congo del 9% e in Cina del 10%. Da noi, l’anno scorso il Pil era salito dello 0,4% ma il prossimo anno crollerà  del 2,5%. «All’inizio è stato difficile, poco lavoro e spesso mal pagato. Quando poi ho trovato un posto regolare, l’ho perso per la crisi economica. A quel punto che potevo fare? Dopo altri tentativi, ho deciso di tornare a casa». Arthur Matija, albanese di Scutari, oggi è tornato a casa, come il concittadino Fransck Suka: «Sono partito col gommone nel 1991, ho dovuto tentare la traversata quattro volte prima di approdare in Puglia. Ho fatto il gommista e poi il meccanico fino al 2005 quando ho deciso di tornare e aprire un’officina qui». Per gli albanesi, si stimano circa duemila ritorni in patria ogni anno. Il Sud-America è l’area del mondo che in questo momento – Cina a parte – cresce a ritmi più sostenuti. «Sono 7 anni che il Perù è in forte espansione e così molti tornano a casa» racconta Roberto Reyes dell’associazione studio 3R di mediazione linguistica-culturale. Lo sportello di Reyes si occupa di immigrati sudamericani, in particolare peruviani ed ecuadoriani. «Oggi chi è immigrato teme possa accadere in Italia ciò che sta succedendo in Spagna e in Grecia. E’ strano, perché siamo rimasti qui nonostante non avessimo il diritto di voto, un welfare che ci riguardasse e subissimo le difficoltà  di leggi che a volte lambivano il razzismo. E poi invece molti che avevano un mutuo e un’occupazione stabile con la crisi hanno perso casa e lavoro: allora una persona decide di tornare a casa perché almeno potrà  contare sull’aiuto della famiglia». Un elemento che sottolinea anche Alessandro Rosina, professore associato di Demografia all’Università  Cattolica di Milano. «Gli immigrati sono più dinamici da un punto di vista occupazionale e così la decisione di tornare a casa, figlia del pragmatismo, è rapida: lì troveranno un welfare famigliare, un basso costo della vita e spesso economie in espansione. Noi non possiamo frenarli, è una scelta naturale». IL FUTURO. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, nel 2065 l’Italia sarà  popolata da 61,3 milioni di persone: un milione in più di oggi. La bassa crescita demografica sarà  sostenuta solo dall’arrivo di stranieri che oggi rappresentano il 7% della popolazione italiana, ma in quell’anno toccheranno il 22%. Se per assurdo dal prossimo anno dovessero interrompersi completamente gli arrivi di immigrati, la nostra popolazione (considerando anche i decessi previsti) si dimezzerebbe, passando dagli attuali 60 milioni ad appena 31 nel 2065: poco di più degli abitanti del Texas. «In ogni caso», conclude Rosina, «per sua natura l’Italia continua ad essere un paese attrattivo per l’immigrazione, al di là  della crisi. Quindi le riflessioni relative all’apporto sociale degli stranieri, al diritto di voto, alle seconde generazioni, compongono un percorso storico ormai inarrestabile. L’Italia ha un bisogno strutturale di immigrati, per sopravvivere e crescere: sviluppo e immigrazione sono elementi intimamente legati al futuro del Paese».

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