by Editore | 10 Agosto 2012 10:30
Processo lampo, per tenerlo il più lontano possibile dal 18° Congresso del Partito comunista cinese previsto per l’autunno prossimo. E condanna per omicidio volontario di un cittadino straniero in arrivo, anticipata dagli organi d’informazione ufficiali che da settimane accusano Gu Kailai per la morte dell’uomo d’affari britannico Neil Heywood, che l’avvocatessa avrebbe avvelenato con la complicità del suo maggiordomo.
Si è aperto e chiuso ieri, in sole sette ore, il procedimento contro la moglie di Bo Xilai, l’ex membro del Politburo del Partito comunista cinese (Pcc) destituito da tutti gli incarichi nella primavera scorsa, dopo che l’incriminazione di Gu aveva mandato all’aria i piani del «maoista» Bo per ottenere la promozione nel Comitato permanente del Politburo, il consesso di nove membri che governa la Cina.
«Gli accusati Gu Kailai e Zhang Xiaojun (il maggiordomo, ndr) non hanno sollevato obiezioni nei confronti delle prove e delle accuse di omicidio volontario» ha dichiarato Tang Yigan. Il funzionario del tribunale di Hefei ha aggiunto che «dopo aver discusso, la giuria annuncerà la sentenza». Si tratterà probabilmente di una condanna dura – l’imputata, che in aula è apparsa ingrassata, quasi irriconoscibile rispetto alle ultime foto rese pubbliche, rischia la pena di morte – e sarà resa pubblica nelle prossime ore o al massimo tra qualche giorno.
Per pochi minuti ieri mattina, davanti al palazzo di giustizia del capoluogo della provincia dell’Anhui battuto dalla pioggia e lontano un migliaio di chilometri dalla sua Chongqing, sono risuonate le strofe di uno di quei canti patriottici dei revival maoisti promossi da Bo. Giusto il tempo che intervenissero i poliziotti, che a calci e spintoni hanno caricato nelle volanti due uomini che prima d’iniziare a intonare la canzone avevano protestato con i giornalisti stranieri: «La sentenza è già stata decisa da molto tempo!».
I sostenitori di Bo ne sono convinti: si è trattato di un processo politico, per colpire indirettamente un politico che – uscendo dallo schema del ricambio della leadership mediante cooptazione dall’alto – voleva utilizzare il consenso popolare che si era guadagnato come segretario della megalopoli sul fiume Yangzi per dare la scalata ai vertici del Pcc.
Un processo che per importanza è stato paragonato a quello celebrato nel 1980 contro la Banda dei quattro, il gruppo guidato dalla vedova di Mao accusato di progettare un colpo di stato. Come ricorda Marie-Claire Bergère nel suo La Cina dal 1949 ai giorni nostri, quel processo, «dal quale ci si sarebbe attesi che diventasse la Norimberga della Rivoluzione culturale», si risolse in «un compromesso di fazione». Secondo la studiosa, «in Cina per giudicare la storia esiste un’unica autorità : il partito». Trent’anni fa, il verdetto arrivò nella «Risoluzione su alcune questioni concernenti la storia del Partito» approvato dal Comitato centrale nel giugno 1981. E chissà che anche a Gu – come allora a Jiang Qing e compagni – il Partito non decida di risparmiare la vita, riservandosi di criticare in seguito ufficialmente le «deviazioni» di Bo Xilai.
Sia come sia, quello contro Gu è stato un procedimento con ben poche garanzie per l’imputata: in un tribunale circondato da centinaia di agenti, vi hanno potuto sì assistere anche due diplomatici britannici, ma a Gu sono stati assegnati due difensori d’ufficio, con scarsissima esperienza in processi penali. E, in casi come questo, l’indipendenza del potere giudiziario da quello politico è, di fatto, nulla.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, il 13 novembre scorso Gu aveva passato la serata assieme ad Heywood in un albergo di Chongqing, dove i due avrebbero bevuto, tè e alcolici. I media britannici hanno riferito che l’uomo d’affari non era un bevitore ma per i magistrati «Heywood rimase intossicato, vomitò e chiese un bicchier d’acqua». A quel punto Gu lo uccise con un veleno che aveva preparato precedentemente e che gli fu somministrato da Zhang, il cameriere.
Per l’accusa il movente sarebbe quello già prefigurato dai media cinesi: un litigio per affari (nelle scorse settimane si era parlato di esportazione di capitali all’estero) tra Gu e Heywood, dopo il quale la donna avrebbe temuto che il britannico volesse uccidere «lei o suo figlio» Bo Guagua. «Per questo – assicurano i magistrati cinesi – ha deciso di ucciderlo».
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