3 miliardi di buco in più. Riprende l’incendio greco
I «due pesi e due misure» sono la regola, in campo politico-economico. Perciò – solo due mesi fa – sono state condizionate le elezioni in Grecia con la minaccia di una catastrofe se avesse vinto la sinistra di Syriza; oggi anche il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker ammette che «tecnicamente è possibile», ma sarebbe «inconcepibile sul piano politico». L’unico scenario ammesso per la Grexit è «se Atene rifiutasse un consolidamento del bilancio e delle riforme strutturali; allora dovremmo considerare la questione». Ma secondo Juncker non può accadere. C’è comunque un’ipotesi assai più oggettiva e per niente «politica» che rende plausibile l’uscita della Grecia dal sistema monetario: Atene potrebbe non riuscire, nemmeno volendo, a far fronte agli impegni. Anzi, probabilmente neppure rispettandoli tutti fino all’ultimo comma. I «tecnici» dei ministeri ellenici avevano infatti calcolato che l’economia potrebbe riprendere a tirare molto prima – rendendo anche il debito molto più sostenibile – se venissero loro concessi due anni in più per ridurre il deficit di bilancio entro i paramentri di Masstricht. Numeri alla mano: oggi il rapporto deficit/Pil è al 9,3%. Se lo si deve obbligatoriamente portare al 3% nel 2014, l’economia greca (da cinque anni consecutivi in recessione drastica) vedrebbe il Pil cadere ancora del 4,5% nel 2013 e nessuna ripresa nel 2014. Se invece il programma di rientro venisse diluito di altri due anni, la contrazione per l’anno prossimo sarebbe soltanto dell’1,5%, ma con un promettente +2 per il successivo. Le conseguenze sono logiche: un paese che torna a crescere produce più ricchezza, il deficit cala più rapidamente anche con tagli minori, recupera più velocemente «credibilità » sui mercati. Qual’è la risposta di Schauble – che con Merkel vedrà Samaras nei prossimi giorni, subito dopo Juncker e Hollande – a questa richiesta di proroga non ancora avanzata ufficialmente? «Non è pensabile mettere a punto un nuovo programma di aiuti per la Grecia, ci sono dei limiti». Insomma, Atene deve (correre il serio rischio di) morire. E proprio la troika, ieri, ha scoperto nei conti pubblici ellenici un «buco» di tre miliardi suepriore alle stime, stabilendo che che il governo greco nei prossimi due anni avrà bisogno di una cifra vicina ai 14 miliardi (anziché i previsti 11,5). Indicativo il fatto che lo «scoperto» non deriva tra inadempienze di atene, ma dalle minori entrate dovute alle privatizzazioni (i prezzi sono precipitati) e dal calo delle entrate fiscali (se il Pil cala, cala anche il gettito complessivo delle tasse). Proprio il caso greco, dunque, mette in chiaro il dilemma in cui è rinchiuso ogni paese che deve «deflazionarsi» per poter restare nell’euro, mentre quelli a «tripla A» non solo ne sono per ora esentati, ma possono «fare shopping» a prezzi stracciati degli asset che «debbono» essere privatizzati. Per restare nell’euro ti devi svalutare pesantemente, vendere i pezzi pregiati e gli asset statali; e alla fine della strada non sarai più «competitivo», solo più povero, ma con i conti in ordine. Se invece esci dall’euro – «tecnicamente» si può – sarai colpito da una svalutazione degli asset e dei patrimoni, ma avrai grandi vantaggi competitivi di lì a qualche anno. Forse per questo non si deve neppure pensare…
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