by Editore | 30 Luglio 2012 9:37
ROMA — Prima un sms, poi la telefonata con l’addetto dell’ambasciata italiana a Sana’a: «Sono stato rapito, i sequestratori vogliono parlare con il governo italiano». Poche parole pronunciate da Alessandro S. il carabiniere friulano di 29 anni caposcorta dell’ambasciatore, catturato ieri da un gruppo armato mentre rientrava in ufficio. Una frase breve, che però basta a confermare timori forti. Perché in Yemen gli occidentali sono merce preziosa e ancor di più lo è un addetto alla sicurezza. Le prime indiscrezioni parlano di una banda di criminali locali che nei contatti iniziali avrebbe già avanzato una richiesta di riscatto. Ma in questi casi il rischio è che l’ostaggio venga ceduto a una banda più strutturata o che diventi preda dei terroristi.
Il militare era uscito in borghese dalla sede diplomatica verso l’ora di pranzo per recarsi in un negozio dove doveva acquistare una ricarica per il telefono cellulare. Con sé aveva la pistola, non è chiaro se sia stato agganciato da qualcuno del gruppo quando era ancora all’interno del locale. Diversi testimoni hanno raccontato di aver notato che veniva accerchiato e trascinato via quando era ormai a poche decine di metri dall’ingresso dell’ambasciata. E subito è scattato l’allarme. Poco dopo è arrivato il messaggio che confermava il sequestro, poi le condizioni poste dalla banda per il rilascio.
L’ambasciatore Luciano Galli ha attivato immediatamente i contatti con la polizia locale, mentre l’intelligence, presente nell’area con diversi uomini, si coordina con i servizi di sicurezza per cercare di chiudere la partita nel più breve tempo possibile e scongiurare il pericolo di un passaggio di mano. Il fatto che abbiano deciso di utilizzare il suo telefono cellulare fa ritenere che si tratti di una banda poco esperta, inconsapevole del fatto che in questo modo potrebbe essere possibile tracciare il loro percorso e rintracciarli. Ma è, appunto, un’ipotesi anche perché potrebbe essere soltanto la prima mossa utile a dimostrare che chi ha attivato il contatto sta gestendo il prigioniero.
Le insidie sono svariate. Proprio ieri un centinaio di uomini armati ha assaltato il ministero dell’Interno. Si trattava di capitribù giunti nella capitale per rivendicare un posto di lavoro che poi hanno scatenato una vera e propria guerriglia. I rischi più alti riguardano però la presenza di Al Qaeda, come si conferma sul sito del ministero degli Esteri italiano dedicato ai turisti che contiene un formale «sconsiglio» per chi ha intenzione di recarsi in Yemen. Infatti viene evidenziato come «la situazione nella capitale Sana’a rimane particolarmente tesa e pericolosa. Numerosi gruppi armati continuano ad essere presenti in città . Non si possono escludere ulteriori episodi di violenza. La minaccia terroristica è molto diffusa. Esiste l’elevatissimo rischio di attentati, rapimenti ed azioni ostili ai cittadini stranieri, sia da parte di Al Qaeda che di elementi tribali. Un quadro che il carabiniere conosceva perfettamente visto che ha seguito il particolare addestramento del battaglione Tuscania prima di diventare caposcorta dell’ambasciatore. E che potrebbe aver sottovalutato decidendo di uscire anche se rimanendo nella zona di Hadda dove si trova la rappresentanza italiana.
Adesso, come spesso accade in questi casi, è possibile che proprio ai capitribù ci si rivolga per avviare una trattativa. La concessione di una contropartita in denaro non ha mai rappresentato un problema, ma il timore delle autorità italiane è che il negoziato possa spostarsi su un terreno più politico proprio perché l’ostaggio è un addetto alla sicurezza e si trova in Yemen per conto del governo. Oppure che i terroristi costringano la banda a cedere l’ostaggio. Non a caso Emanuele Fiano del Partito Democratico e gli esponenti di altri partiti, tra cui l’Idv, hanno chiesto che il ministro degli Esteri Giulio Terzi — pur salvaguardando i limiti indispensabili della riservatezza sui contatti con la banda e i suoi emissari — riferisca al più presto in Parlamento su quanto sta accadendo.
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