Un Grand Tour del ‘900

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Si è inaugurata pochi giorni fa alla Triennale di Milano una mostra dedicata a Luigi Ghirri (scomparso nel 1992) e a Viaggio in Italia, la celebre esposizione da lui organizzata nel 1984 con Gianni Leone ed Enzo Velati, che viene ormai considerata come l’atto di nascita ufficiale della «nuova» fotografia italiana di paesaggio (1984: Fotografie da Viaggio in Italia. Omaggio a Luigi Ghirri, a cura di Roberta Valtorta, fino al 26 agosto). 
Meraviglie del quotidiano
L’interesse per questo tipo di fotografia – «democratica», riflessiva, rivolta al recupero dell’Italia non-monumentale e dei segni labili della storia minore – si era manifestato già  nei primi anni ’80. Nella Napoli post-terremoto, ad esempio, Cesare De Seta aveva chiamato a raccolta fotografi italiani e stranieri per aggiornare l’iconografia urbana di cui si andava occupando nei suoi studi sul vedutismo. Occasioni analoghe si ebbero allora anche a Verbania, Cesena, Reggio Emilia, ma furono proprio la mostra del 1984 e il catalogo che l’accompagnava – con la carta geografica dell’Italia fisica in copertina – a cristallizzare in un progetto condiviso le ricerche individuali avviate nel clima post-concettuale degli anni ’70 e a sancire il ruolo di Ghirri come fotografo, teorico e quieto propulsore di quella che appariva come una nouvelle vague dell’anti-paesaggio.
Viaggio in Italia, infatti, ebbe il merito di percorrere il territorio italiano alla ricerca di forme spontanee, configurazioni transitorie, meraviglie del quotidiano, aggiornando in questo modo la tradizione del Grand Tour sulla scorta di Rossellini e Guido Piovene. Allo stesso tempo, la mostra delineava la mappa di una geografia culturale frastagliata, nella quale si muovevano, ognuno con identità  proprie, fotografi come Guido Guidi (tra la Romagna e il Veneto), Gabriele Basilico (nella metropoli milanese), Mario Cresci (in movimento dalla Liguria alla Basilicata), Giovanni Chiaramonte (dalla Sicilia alla Lombardia), Mimmo Jodice (a Napoli), Vittore Fossati (in Piemonte), oltre a Olivo Barbieri, Vincenzo Castella, Fulvio Ventura, Gianantonio Battistella, per non citare che alcuni. Chiamare a raccolta questi fotografi significava anche aggiornare le molte prospettive di quella storia «eccentrica» del vedere italiano che era stata proposta pochi anni prima nel fondamentale saggio su centro e periferia nell’arte italiana scritto da Enrico Castelnuovo e Carlo Ginzburg per la Storia dell’arte Einaudi.
Le voci dei protagonisti
A partire dallo snodo del 1984 emerse con forza la possibilità  di quello che si potrebbe definire un progetto di documentazione collettiva del paesaggio presente, basato in egual misura sulle capacità  di registrazione e di comunicazione dell’apparecchio fotografico, sulla cultura visiva di ciascun fotografo e sulla moltiplicazione degli sguardi, che negli anni successivi sarebbe stata sostenuta da commissioni pubbliche promosse da enti locali. Il lavoro su commissione, che divenne dominante negli anni ’90, finì forse per ridurre lo spessore problematico delle ricerche originarie. Eppure un censimento completo dei numerosi progetti di documentazione del territorio realizzati dai fotografi di Viaggio in Italia negli ultimi trent’anni – ad esempio attraverso la costituzione di un atlante digitale collettivo – restituirebbe non solo tratti significativi del percorso artistico di ciascun autore, ma anche un ritratto composito del paesaggio italiano che non è meno importante, per estensione e ramificazioni culturali, di quello realizzato negli anni ’30 dalla Farm Security Administration americana.
Nella mostra milanese tutti questi sviluppi si ritrovano in nuce. La rievocazione di Viaggio in Italia occupa in realtà  un’unica sala, quasi una sorta di Wunderkammer che in un elegante colpo d’occhio ripropone una nutrita selezione di fotografie nelle dieci sezioni tematiche in cui si articolava l’esposizione originale, con l’aggiunta di alcuni interessanti inediti allora non inclusi in catalogo. Al centro della sala, le voci dei fotografi e degli altri protagonisti del progetto – come Arturo Carlo Quintavalle e Gianni Celati – tornano a commentare l’avventura di quegli anni in un documentario di Maurizio Magri, realizzato nel 2004 in occasione del ventennale della mostra (accluso al volume Racconti dal paesaggio 1984-2004. A vent’anni da Viaggio in Italia, Quaderni di Villa Ghirlanda 3/ Lupetti 2004, euro 25).
Misura e nitore
Per l’efficace sintesi che propone e per l’alto livello delle opere esposte, la mostra non sarebbe oggi fuori luogo nelle sale permanenti del Museo del Novecento a Piazza Duomo. Emergerebbe con evidenza ancora maggiore, in quella sede, il duplice senso della rottura culturale avanzata in quegli anni dal gruppo consolidatosi attorno a Ghirri. Da un lato, il recupero democratico di una materia della «qualsiasità » – in contrapposizione alla «eccezionalità » degli anni ’70 – e il difficile ritorno al reale nell’epoca della «simulazione» (erano gli anni di Baudrillard), in linea con le tensioni della Pop Art, del Nouveau Réalisme, del Concettuale e della Narrative Art. Dall’altro, un dialogo sotterraneo ma costante con tutta la storia dell’arte italiana del ‘900: la cultura dell’immagine e a tratti persino lo strumentario formale degli autori di Viaggio in Italia erano radicati, forse più che nella tradizione fotografica, nella modernità  artistica italiana, dagli stati d’animo di Boccioni alle piazze di De Chirico, dalla monumentalità  di Sironi al Morandi di via Fondazza e di Grizzana, fino agli strappi di Mimmo Rotella e alle quadrature di Giulio Paolini.
Nell’allestimento della Triennale, le stampe fotografiche provenienti dal Fondo Viaggio in Italia del Museo di fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo (diretto dalla stessa Valtorta) permettono di apprezzare la misura e il nitore di uno sguardo che regge pienamente il peso dei decenni trascorsi. La cura per la luce e per il dettaglio che traspare nelle stampe di piccole dimensioni regala all’osservatore un’esperienza intima dei luoghi e del lavoro fotografico difficilmente percepibile nelle riproduzioni a stampa. La possibilità  di un confronto diretto con l’oggetto fotografico ha un valore anche di metodo, rispetto a una storia e a una critica della fotografia che hanno spesso privilegiato gli aspetti iconografici, sociologici e «filosofici» a discapito di quella più meravigliata coscienza dell’occhio che animava le esplorazioni di quegli anni.
La nuova retrospettiva su Ghirri al Maxxi di Roma, intitolata Pensare per immagini e annunciata per la primavera 2013 per la cura di Quentin Bajac (divenuto nel frattempo direttore del Dipartimento di fotografia del MoMA), potrà  forse gettare nuova luce sul fitto dialogo visivo che l’artista intrattenne con la cultura «alta» dell’arte otto-novecentesca, tanto più interessante perché fu un dialogo che si realizzò nel confronto diretto con il mondo «basso» delle cose e con la loro estetica vernacolare. Nel frattempo, gli studi sull’opera di Ghirri e di quell’intera generazione possono già  avvantaggiarsi di una fonte preziosa, l’archivio digitale delle pubblicazioni, dei progetti e degli scritti dello stesso fotografo dal 1972 al 1992, pubblicato in rete (sotto la direzione di Laura Gasparini) dalla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, che ne conserva anche l’archivio dei negativi e una selezione di stampe originali. 
Una stimolante occasione di approfondimento del contesto culturale di lungo periodo, invece, è stata offerta recentemente dalla mostra Peripheral Visions: Italian Photography in Context, 1950s-Present, curata da Maria Antonella Pelizzari per l’Hunter College di New York (catalogo Charta, euro 29). La mostra, che propone di individuare nel tema del paesaggio «marginale» un elemento distintivo della fotografia italiana del secondo dopoguerra, colloca Viaggio in Italia entro il lungo arco che dalle esplorazioni rurali di Giuseppe Pagano per la Triennale di Milano del 1936 giunge sino alla «visione periferica» nelle fotografie urbane di Marina Ballo Charmet e alle analytic borderlands di Armin Linke. 
Peripheral Visions prosegue e precisa il lavoro di inquadramento che Maria Antonella Pelizzari aveva proposto nel 2011 con Photography and Italy (trad. it. Percorsi della fotografia in Italia, Contrasto, euro 21,90). Come scrive Pelizzari nell’introduzione al catalogo, la mostra fornisce un’immagine diacronica della progressiva perdita di qualità  del paesaggio italiano, ma intende anche indagare la varietà  di strategie visive elaborate dai fotografi nel corso del tempo per registrare questa progressiva omogeneizzazione dei luoghi dell’abitare.
Un aspetto interessante della mostra, realizzata con un gruppo di studenti dell’Hunter College e della City University of New York, cui si devono i numerosi contributi in catalogo, risiede proprio nel contrappunto che istituisce fra temi, figure e soluzioni visive nell’arco di mezzo secolo, oltre che nel rievocare anche testualmente il senso di scambio e di dialogo che fu la cifra di Viaggio in Italia. 
Curiosamente, un elemento che la mostra newyorkese lascia sullo sfondo è il rapporto coltivato dai nostri fotografi con la cultura visiva statunitense: non tanto quella storica di Walker Evans o quella a tratti sovrastimata di «Nuovi topografi» come Lewis Baltz o Robert Adams, ma quella di autori come William Eggleston, Richard Misrach, Joel Meyerowitz, Joel Sternfeld e Alfred Seiland, che con la loro attenzione per il colore introdussero nuovi elementi di riflessione anche per i fotografi che all’inizio degli anni ’80 si apprestavano a ripercorrere la provincia italiana. 
Strategie dell’attenzione
Il contributo più significativo di Peripheral Visions, tuttavia, consiste nell’indicare una linea di continuità  – e quindi una prospettiva di sopravvivenza – per un approccio fotografico che negli ultimi anni ha iniziato ad essere considerato a sua volta culturalmente marginale rispetto a pratiche apparentemente più impegnate nella politica dei luoghi. Visto nella prospettiva di lungo periodo, Viaggio in Italia appare infatti come erede delle esplorazioni antropologiche degli anni ’50 negli habitat precari della ricostruzione e come precedente per le ricerche recenti sul paesaggio sociale dell’emarginazione di Francesco Jodice e Paola Di Bello. Ai fotografi di Viaggio in Italia interessava forse più identificare uno spazio possibile delle relazioni che analizzare o criticare le relazioni stesse. 
Pur con queste differenze, nel secondo dopoguerra la fotografia italiana di paesaggio sembra aver tenuto fede a quelle strategie dell’attenzione, a quella cultura umanistica e a quella reticenza di stile che gli americani hanno definito sin dagli anni ’30 come «fotografia documentaria». È lungo questa strada che trasformazioni, memoria e conflitti del paesaggio italiano attendono ancora oggi di essere fotografati, da Lampedusa alla Val di Susa.


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