Tre miliardi in più ogni 100 punti base così si gonfiano gli interessi sul debito

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Addio ai benefici della spending review. Bye Bye persino a un bel pezzo dei soldi incassati finora grazie alla contestatissima Imu. Tutti i sacrifici degli italiani rischiano di andare in fumo davanti all’offensiva del nostro peggior nemico: lo spread, assestato oggi a quota 456 contro il 180 punti di fine 2010. Ogni cento punti base d’aumento ci costano quasi tre miliardi di interessi sul debito in più solo il primo anno. E lo spread attuale pari a oltre 450 punti ci costerà  quest’anno circa 10 miliardi in più. Già  nel primo trimestre 2012, conferma l’Istat, Roma ha dovuto sborsare 2,7 miliardi in più (un aumento del 16%) per onorare il suo debito. Il governo a settembre potrebbe essere costretto a fare un tagliando ai conti dello Stato. Scoprendo magari che sarà  necessaria una manovra suppletiva per tappare il buco aperto dal caro-tassi. Nell’attesa messianica che la Germania dia una mano dando l’ok allo scudo anti-spread.

Il debito / La spesa può prendere il volo in vista aumenti esponenziali    


La corsa dello spread ha una conseguenza evidente: fa salire il conto degli interessi che dobbiamo pagare per onorare il nostro debito. Lo scorso anno Roma ha staccato un assegno da 78 miliardi. Ma il 2011 – con il differenziale rimasto a lungo tra 150 e 200 punti prima di schizzare a 575 solo a novembre – è un secolo fa. Oggi, malgrado i passi avanti dell’ultimo summit Ue, fatichiamo a contenerlo a quota 450. Quanto ci costa questo balzo? Un rialzo di 100 punti base dello spread e dei rendimenti in asta, naturalmente, non comporta un aumento proporzionale del costo del debito, visto che lo Stato continua a pagare tassi minori sulle emissioni precedenti. La ricaduta reale – secondo i calcoli del Tesoro – è di 2,8 miliardi di interessi (lo 0,19% del Pil) per ogni punto percentuale di aumento dei tassi il primo anno, 5,4 miliardi (0,36%) il secondo e 9 miliardi (0,54%) il quarto. La pratica però dà  risultati ancora più inquietanti della grammatica: il costo del debito dello Stato italiano è salito nel primo trimestre del 2012 secondo l’Istat del 16% da 16,1 a 18,7 miliardi.

I costi / I benefici della spending review sotto la minaccia del caro-tassi    


IL GOVERNO Monti ha già  messo le mani avanti. Il Documento di economia e finanza prevede nel 2012 una spesa per interessi di 84,2 miliardi, sei in più del 2011, per salire a 100 miliardi nel 2015 a fronte di un tasso medio sul nostro debito in crescita dal 4,5% al 5%. Peccato che la realtà  di quota 450 rischi di trasformare da subito in un libro dei sogni queste cifre. Ai livelli attuali si rischia di sforare di 4-5 miliardi la spesa per interessi preventivata nei conti dello stato, vanificando ad esempio tutti i 3,7 miliardi di risparmi messi a bilancio grazie alle forbici della spending review. La spia dell’allarme è già  accesa da qualche tempo anche all’interno dell’esecutivo. E non a caso Monti ha avviato un pressing a uomo su tutti i partner Ue per il varo dello scudo anti-spread. Il rischio è che la corsa dei differenziali mandi in fumo tutti i sacrifici degli italiani. La prima tranche dell’Imu, per dire, ha reso allo Stato 9,5 miliardi. E il governo potrebbe essere costretto a rifare i suoi conti a settembre con la revisione del Def.

La difesa / Più Bot in asta e meno Btp per ridurre l’impatto sui conti    


IL TESORO, naturalmente, non è rimasto con le mani in mano. E per ridurre al minimo gli effetti collaterali del caro-spread a messo mano a tutto il suo arsenale di strumenti di difesa. La via maestra è stato l’aumento di emissioni di Bot a breve termine, dove per ora l’Italia riesce a spuntare ancora rendimenti relativamente contenuti. Non a caso la vita media del nostro debito si è accorciata, passando dai 7 anni e 2 mesi di fine 2011 ai sei anni e nove mesi di oggi. Via XX Settembre ha giocato pure con sapienza su freno e acceleratore, tanto da essere riuscita a collocare il 63% dei 454 miliardi di titoli di Stato in calendario per quest’anno dribblando in particolare le scadenze pesantissime tra febbraio e aprile. Un bel colpo visto che nel 2013, per il miglioramento del fabbisogno dello Stato, l’asticella dovrebbe scendere a quota 415 miliardi. Se si riuscisse a mantenere il differenziale con i Bund attorno a quota 200 (
mission apparentemente impossible oggi) il bilancio dell’Italia avrebbe un beneficio immediato di un paio di miliardi nel 2012 e più di dieci nel 2015 rispetto alle stime del Def.

Il rischio / La spia dell’allarme rosso si accende a quota 550    


A tirar troppo la corda, la corda alla fine si spezza. E anche gli spread, nel loro piccolo, hanno un limite oltre il quale non tengono più. Nel caso della crisi dei debiti sovrani la cifra magica è 550. Lo insegna la storia. Quando Atene, Lisbona e Dublino hanno dovuto pagare il 5,5% in più dei Bund per oltre un mese, alla fine non hanno avuto altra scelta che presentarsi con il cappello in mano dalla Ue per chiedere aiuto. Con un Pil in calo nel 2012 del 2% e malgrado le riforme del governo Monti, in effetti, anche Roma non avrebbe vita troppo lunga con il rendimento dei Btp decennali oltre il 7%. La legge aritmetica dello spread è impietosa: solo il primo anno, la spesa per interessi salirebbe di 10 miliardi. Il quarto di quasi 40 miliardi. Voragini difficili da colmare in un momento in cui si fa fatica a raschiare il fondo del barile per tagliare qualche miliardo ai conti dello Stato. E per esorcizzare scenari apocalittici ci sono solo due soluzioni: l’Italia deve continuare a «fare i compiti a casa» come direbbe Angela Merkel. Ma l’Europa deve sbrigarsi a metter a punto lo scudo anti-spread.


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