Tra i cristiani in fuga da Hama “Il regime siriano ci proteggeva ora non possiamo uscire da casa”
DAMASCO — «Per anni abbiamo vissuto nel Paese più sicuro del mondo. Ci siamo sentiti protetti, rispettati. Ma quando abbiamo visto che non potevamo più neanche affacciarci alla finestra senza rischiare di esser uccisi, abbiamo deciso che non era più il caso di restare e abbiamo lasciato le nostre case». Ai piedi del convento della Vergine Maria, a Saidnaya, una delle culle dei cristiani d’Oriente, dove si parla ancora l’aramaico, la lingua dei Vangeli, Abdu e George ricordano la loro fuga, pochi giorni fa, da Hama. George è definitivo: «Io avevo dieci anni, nell’82, quando l’esercito siriano schiacciò la rivolta dei Fratelli musulmani, ma quello che sta succedendo oggi è peggio». Il luogo è lo stesso, Hama, l’antica città sull’Oronte, ma le circostanze sono diverse. La città martire della repressione ordinata da Hafez al-Assad nel febbraio 1982 contro i Fratelli musulmani, è ora uno dei fronti caldi della rivolta che da un anno e mezzo infiamma la Siria. Ma per Abdu le parole del suo amico riflettono una realtà del tutto nuova: «Quello che vogliamo dire è che oggi, a differenza di 30 anni fa, l’esistenza dei cristiani è minacciata a Hama, dove eravamo una comunità di ventimila persone e adesso sono rimasti soltanto quelli che non hanno nulla da mangiare». Lo stesso succede a Homs e nelle altre città in cui i cristiani, dopo essere rimasti per mesi estranei al conflitto, si sono visti mettere sempre di più nel mirino di gruppi armati, spesso d’incerta provenienza, genericamente definiti “salafiti”, integralisti islamici di fede sunnita, che, anche solo per infiammare lo scontro con l’esercito, o per diffondere il panico, hanno imposto la loro presenza nei quartieri cristiani. «Gente venuta da fuori — dice George — . Violenti, arroganti. Entrano in casa, controllano i documenti, interrogano. E se non sono convinti, magari ritornano la notte. Vicino a casa mia si sono portati via una ragazza di 20 anni ritrovata morta qualche ora dopo». Se non fosse per le parole di questi profughi, seppure di categoria benestante, artigiani, tecnici, commercianti, sarebbe difficile cogliere, a Saidnaya, i segni della tragedia siriana. Il convento risalente all’XI secolo, costruito su una rocca scoscesa, domina come una fortezza inespugnabile una vallata immobile e silenziosa sotto il sole cocente. Qui nulla sembra turbare la calma di questo paesaggio da sempre uguale a se stesso.
Eppure sono giorni di grande tensione per la Siria, che sembra scivolare verso la sua dissoluzione. Una deriva che niente e nessuno sembra in grado di fermare.
Non certo le divisioni in seno alla comunità internazionale, con Stati Uniti e Russia su posizioni sempre inconciliabili, né quelle esplose nei ranghi dell’opposizione. L’ultima riprova viene dal Cairo, dove, in base al piano approvato a Ginevra dalle cinque potenze del Consiglio di sicurezza, s’è riunita ieri l’opposizione per elaborare una strategia condivisa sulla proposta di dar vita ad un governo di unità nazionale, per guidare la transizione, con la partecipazione tanto di esponenti del regime che della rivolta. Ma i ribelli armati, fra i quali i disertori del Libero esercito siriano e alcuni gruppi “indipendenti”, hanno subito fatto appello al boicottaggio del vertice, cui invece hanno preso parte rappresentanti del Consiglio nazionale siriano, che raggruppa i dissidenti all’estero.
Ma per i cristiani di questo Paese, circa 2 milioni di persone, intorno al 10 per cento della popolazione, l’opposizione è soltanto
una pedina della “grande trama” imbastita alle spalle della Siria. Determinati a difendere la loro identità di “siriani di religione cristiana”, prima ancora che di “cristiani di nazionalità siriana”, quelli che incontriamo a Maalula, altra meta di pellegrinaggi, dove riposano i resti di Santa Tecla, ad una quarantina di chilometri da Damasco, vedono proprio nelle manovre della comunità internazionale la causa della rivolta che sta scardinando il regime. I guai della Siria, dice in sostanza Gabriel, un comandante della marina commerciale che lavora sulle rotte mediterranee delle compagnie greche, «derivano dalle interferenze americane, per far saltare un equilibrio che non soddisfa i loro interessi, né quelli israeliani, né quelli dell’Arabia Saudita. E l’Europa, vergogna, li segue ciecamente».
In questo contesto, le prospettive di un cambiamento di regime fanno paura. «Non posso dire — afferma nel suo elegante studio di Damasco l’architetto Maria Sadeeh, recentemente eletta come indipendente in Parlamento — che Assad sia il protettore dei cristiani ma dico che noi viviamo in un regime laico che protegge i cristiani. L’Occidente deve stare molto attento a combattere i regimi laici del Medio Oriente perché non si sa quello che potrebbe arrivare dopo. Qui in Siria c’è un tessuto multi religioso che fa parte della storia del Paese. Un regime diverso finirebbe per annullare questo elemento imprescindibile dell’identità siriana. Un sistema salafita lo rifiuteremmo».
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