Torneremo in piazza
TARANTO – Sono rientrati in fabbrica alle 6.30 di ieri mattina. Dopo una tre giorni di fuoco, che ha visto blocchi d’accesso a tutte le principali arterie di ingresso alla città cessati alle 23 di venerdì sera, sciopero di oltre 48 ore, manifestazioni oceaniche, sit-in e assemblee con i sindacati (fischiati a più riprese quelli della Uilm, il più rappresentato in fabbrica), gli operai dell’Ilva sono rientrati in quella che per loro è una seconda casa, dove indossano le tute blu, per molti di loro una vera e propria seconda pelle.
Lo stato di agitazione è però tutt’altro che sopito. La tensione e la paura di un futuro quanto mai incerto, restano intatte. E lo resteranno almeno sino a venerdì 3 agosto, quando è prevista l’udienza del Tribunale del riesame che esaminerà i ricorsi dell’azienda sia contro le otto misure cautelari ai domiciliari nei confronti di otto dirigenti ed ex dirigenti del gruppo Riva, sia per quanto riguarda il sequestro di ben sei aeree dello stabilimento: cokerie, acciaierie, parchi minerali, area agglomerazione, area altiforni e gestione materiali ferrosi. Ovvero, il cuore pulsante dell’Ilva di Taranto. Ma in attesa del primo giorno del giudizio (ricordiamo che dopo il riesame si andrà in Cassazione), Fim, Fiom e Uilm, hanno deciso di giocare d’anticipo, proclamando uno sciopero di 24 ore per la giornata del 2 agosto, in cui si svolgeranno una manifestazione ed un’assemblea pubblica in città .
Nella stessa giornata, a palazzo di Città , è prevista una seduta del consiglio comunale di Taranto che, in un ordine del giorno aggiunto all’ultimo momento, prevede anche la discussione sulla vicenda Ilva. Questo per quanto attiene alla cronaca delle proteste. Sul fronte giudiziario, i magistrati, ritenendo il sequestro degli impianti «inevitabile», non hanno alcuna intenzione di fare passi indietro. D’altronde, è oramai evidente a tutti che la storia dell’Ilva, da giovedì, è cambiata per sempre. Non soltanto per i pesantissimi provvedimenti richiesti dalla procura e autorizzati dal Gip Patrizia Todisco. Ma anche e soprattutto per la consapevolezza che, seppur lentamente, in questi giorni ha iniziato a farsi largo tra gli operai: che venerdì hanno sconfessato azienda e sindacati, dichiarando come siano stati i capi turno e i quadri insieme ai delegati sindacali, nel primo pomeriggio di giovedì, ad aprir loro le porte dello stabilimento invitandoli a bloccare la città , perché la magistratura aveva sequestrato gli impianti. Sequestro che sino al grado di giudizio della Cassazione, come hanno ribadito gli stessi magistrati, resterà solo sulla carta, non operativo.
Pur sapendo ciò, azienda e sindacati hanno comunque forzato la mano, generando un panico diffuso che ha investito migliaia di operai e bloccato una città intera, portando la tensione alle stelle. Non solo. Perché sono stati gli stessi operai a chiedere spiegazioni, senza peraltro ottenerle, sul perché nella giornata di venerdì, mentre loro protestavano nelle strade per difendere il lavoro e quindi anche l’azienda, all’interno del siderurgico la forza lavoro rimasta abbia prodotto più di tutti gli altri giorni (22 colate, invece delle solite 18).
A tutto questo però, c’è una risposta. La si trova nelle oltre 600 pagine del provvedimento del Gip. Che oltre a ribadire come l’azienda abbia agito dal ’95 in poi inseguendo soltanto una «logica del profitto», nell’ordinanza applicativa delle misure cautelari degli otto dirigenti ora gli arresti domiciliari, motiva tali provvedimenti perché «in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità , realizzavano con continuità e non impedivano una quantità imponente di emissioni diffuse e fuggitive nocive in atmosfera».
I vertici Ilva – sempre secondo il gip – «operavano con continuità e piena consapevolezza una massiva attività di sversamento nell’aria di sostanze nocive per la salute umana, animale e vegetale e omettevano di gestire in maniera adeguata impianti e apparecchiature idonee a impedire lo sversamento di una quantità imponente di emissioni nocive per la salute dei lavoratori». Attraverso – si legge ancora nel provvedimento di arresto «l’attività di sversamento delle sostanze nocive provocavano e non impedivano la contaminazione dei terreni ove insistevano diverse aziende agricole locali; provocavano e comunque non impedivano, omettendo di adottare gli opportuni accorgimenti, continui e permanenti sversamenti nell’ambiente circostante di minerali e polveri tali da offendere, imbrattare e molestare persone, in considerazione di una esposizione continua e giornaliera”.
Parole che pesano come macigni sulla proprietà della famiglia Riva e su politica e sindacati da sempre al sostegno dell’azienda, e mai davvero a protezione della salute di operai e cittadini e a difesa dell’ambiente pubblico.
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