by Editore | 16 Luglio 2012 8:21
Eppure il nome di battaglia fa torto al trentanovenne Bosco Ntaganda, e non perché la fama della sua ferocia risulti immeritata. Bensì perché, oltre ad essere un comandante spietato, egli si è dimostrato negli anni anche un abilissimo manovratore, capace di sfruttare a suo vantaggio opportunità e rovesciamenti di fronte nel caos congolese. Il che spiega come mai, mentre tanti suoi pari sono finiti uccisi, o agli arresti, o sul banco degli imputati davanti alla Corte penale internazionale dell’Aja, Terminator sia ancora vivo e vegeto, e ricchissimo, e prosperi nelle sofferenze del Congo orientale, protetto ora dall’uno ora dall’altro dei grandi protagonisti, il presidente della RdC Joseph Kabila e quello del Ruanda Paul Kagame, o addirittura da entrambi.
Di questa sua abilità si è avuta una riprova nelle ultime ore. Da marzo Terminator è tornato per così dire sul piede di guerra lanciando una nuova ribellione armata, denominata M23, che è consistita in un ammutinamento dalle forze regolari congolesi delle quali Ntaganda era entrato da qualche anno a far parte. Questo ennesimo
ribaltamento di fronte, e il fatto che la settimana scorsa l’uomo dei cui crimini egli fu per lungo tempo il più intimo associato, Thomas Lubanga, sia stato condannato a 14 anni dalla Corte dell’Aia, ha attirato di nuovo l’attenzione internazionale su di lui e sulle sue malefatte. Il procuratore dell’Aia ha spiccato venerdì un nuovo mandato di cattura — il terzo — per nuovi capi d’accusa. E gli elicotteri della forza di pace dell’Onu in Congo
hanno attaccato le posizioni di M23 presso Rutsuhuru, nella provincia
del Nord Kivu.
Ebbene, i ribelli hanno risposto rilanciando: minacciano di attaccare il contingente Onu, «le sue truppe, le infrastrutture e il personale ». Nientemeno che una guerra contro le Nazioni Unite. Lo hanno fatto nel modo più formale, con una lettera indirizzata al Consiglio di Sicurezza, nella quale accusano il contingente internazionale di essere diventato «una forza di parte». Questo di Terminator può essere anche un bluff, ispirato dalla sensazione che il cerchio si stia lentamente stringendo intorno a lui. Ma ai piani alti del Palazzo di Vetro si sa benissimo quanto grande sia la debolezza della missione in Congo, pari soltanto alla sua forza numerica (è la più corposa al mondo,
con circa 20mila soldati): ci manca solo che finisca sotto attacco.
Bosco Ntaganda — un nome di battesimo nel quale si sente la lontana, e vana, influenza dei missionari salesiani — è un Tutsi ruandese, nato nel 1973 a Kinigi, a ridosso del confine con l’odierna Repubblica democratica del Congo e con l’Uganda. Ancora bambino dovette scappare in Congo (all’epoca Zaire) per sfuggire alle persecuzioni dei Tutsi. Nel 1990, diciassettenne, si unì ai ribelli guidati da Paul Kagame che quattro anni dopo avrebbero vinto la guerra civile e posto fine al genocidio dei Tutsi. Da allora Ntaganda non ha mai deposto le armi. È tornato nell’est del Congo e ha combattuto sotto svariate bandiere, arricchendosi con i saccheggi sistematici e accrescendo la sua fama di capo feroce e spietato. «È uno che uccide facilmente », ha detto di lui un testimone al processo Lubanga. L’elenco dei suoi crimini è lunghissimo. Ma la sua forza militare costrinse tre anni fa il presidente Kabila a scendere a patti, facendone un suo generale. Malgrado il mandato di cattura internazionale, Kabila lo ha protetto temendo che riprendesse le armi (cosa che è comunque accaduta in marzo) e ci sono prove che Ntaganda ha continuato ad andare e venire impunemente dal Ruanda. Questo è Terminator: l’incarnazione degli incubi che da vent’anni tormentano il Congo.
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