by Editore | 16 Luglio 2012 8:16
GERUSALEMME — Gli avevano tolto tutto: il lavoro, la casa, i risparmi, la dignità . A Moshé Silman, 57 anni, di Haifa, era rimasta soltanto una pensione di 400 euro, con cui avrebbe dovuto anche procurarsi un tetto, per sopravvivere. Ma, «non finirò in mezzo alla strada », aveva detto agli amici. Così, ha deciso di darsi fuoco in mezzo alla gente che manifestava sabato sera a Tel Aviv per rilanciare la protesta sociale che esattamente una anno fa aveva incendiato il paese. Un movimento per dare voce e diritti agli israeliani poveri, deboli e reietti come Silman.
Adesso, la vittima di quella che appare come una colossale ingiustizia inflitta da una burocrazia impietosa, giace su un letto di ospedale con ustioni sul 97 per cento del corpo. Le condizioni di Moshé Silman vengono definite «serie». Aspetta che si liberi un posto in un reparto specializzato per le grandi ustioni. Aspettare, è il suo destino. Comunque ne venga fuori, e non è detto che ci riesca, Silman troverà per nulla consolanti le parole che il premier, Benjamin Netanyahu ha voluto dedicargli, aprendo una riunione politica. Il primo ministro israeliano, campione dell’economia di mercato e della demolizione sistematica dello stato sociale, ha definito quella di Silman «una tragedia personale». Non un caso di quelli che dovrebbero fare riflettere la classe politica. Né tanto meno un simbolo della disperazione sociale come nel caso di Mohammed Bouazizi che dandosi fuoco iniziò la rivolta in Tunisia, un precedente che viene ricordato dal giornale israeliano Haaretz.
Ma per i dimostranti israeliani, tuttavia, il gesto di Silman è la classica goccia. Centinaia di persone si sono riunite proprio davanti alla residenza del primo ministro, a Gerusalemme, e migliaia hanno sfilato a Tel Aviv al grido di: «Siamo tutti Silman».
Tutto è successo in pochi attimi.
Silman era arrivato per tempo da Jaffa al centro di Tel Aviv, con un preciso disegno autodistruttivo in testa ed alcuni volantini in tasca, con i quali intendeva spiegare il suo gesto. Poche frasi, drammatiche: «Mi rifiuto di essere un senza tetto. Lo Stato d’Israele mi ha derubato, mi ha rapinato… Mi è stata negata giustizia… Accuso lo Stato di Israele, Netanyahu e Steinitz (Yuval Steinitz, ministro del Tesoro ndr) per l’umiliazione che i cittadini impoveriti subiscono giorno per giorno ».
Quei fogli, che avrebbero dovuto essere il suo testamento, li ha usati come una miccia. In un attimo lo hanno visto cospargersi di benzina, poi ha acceso il fuoco. Accanto a Silman il caso ha voluto che si trovasse Itzik Arlov, uno degli animatori della protesta
dello scorso anno: «Improvvisamente si è sprigionata una fiammata gigantesca e la gente attorno a lui ha cercato di spegnere il fuoco usando bottiglie d’acqua».
Aveva lavorato tutta la vita, Silman, per raggiungere una relativa sicurezza economica. Una piccola azienda di spedizioni, 4 camion e alcuni buoni clienti, che hanno testimoniato nelle numerose cause giudiziarie intentate contro la burocrazia statale, della sua correttezza, puntualità , efficienza.
Poi, d’un tratto nel 2002, arriva un’ingiunzione della Previdenza Sociale, che gli impone di saldare un debito di 15.000 Shekels (circa 3.000 euro), a garanzia del quale gli viene sequestrato un camion. Moshé Silman non riuscirà a riavere indietro il mezzo. Comincia il braccio di ferro ed il debito cresce a dismisura. Gli viene sequestrato il conto bancario, i risparmi,
le polizze di assicurazione. Gli viene lasciata solo la vecchia Volkswagen, con la quale si adatta a fare il
tassista. Un appartamento ricevuto in eredità dalla madre, morta due anni fa, viene anch’esso sequestrato. Silman si oppone, ma perde anche questa causa. La sua salute si deteriora.
Viene colpito da un ictus, che lo lascia completamente inabile al lavoro. Ma non per la Previdenza Sociale, che riduce la sua invalidità al 50 per cento. «Il popolo chiede giustizia sociale », era stato lo slogan principale del grande movimento di protesta dell’estate 2011. Colto alla sprovvista, Netanyahu aveva istituito una commissione d’inchiesta allo scopo di trovare le ragioni del malessere e proporre i rimedi necessari. La commissione ha concluso i suoi lavori il 26 settembre 2011, presentando una serie di raccomandazioni, rimaste lettera morta.
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