Tassi, trema il «re» della Banca d’Inghilterra

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LONDRA — E pensare che ci scherzava sopra. «Che cosa è il Libor? Non è altro che il tasso al quale le banche non si prestano denaro». Proprio così: non si prestano denaro.
Forse, nel 2008, appena poco tempo prima che la finanza mondiale crollasse, sir Mervyn King confidava che certi strani maneggi sul Libor e di cui qualcosa magari aveva sentito dire, mai e poi mai gli avrebbero provocato quei grattacapi e quei problemi che oggi sono sulla bocca di tutti nella comunità  bancaria della City. All’epoca, il custode supremo della stabilità  monetaria inglese si concedeva il lusso di dribblare col sorriso e con le battute i chiacchiericci che circolavano. Il Libor non gli turbava il sonno.
Adesso che il coperchio sulla truffa è saltato, sir Mervyn King si ritrova a rosolare lento sulla graticola. Gli manca poco per lasciare la poltrona di governatore della Bank of England ma il pensionamento che sperava potesse avvenire con squilli di trombe e di fanfare rischia di essere accompagnato da note assai meno trionfanti e glorificanti. Già , perché se c’è una istituzione che sta calamitando un po’ di sospetti decisamente poco belli quella è la «Old Lady» di Threadneedle Street. Basti dire che qualche giorno fa il Financial Times ha titolato: «La Banca d’Inghilterra è nel mirino per lo scandalo Libor». Il dubbio è questo: sapeva o non sapeva Mervyn King che una ventina di banche per quattro o cinque anni hanno manipolato il tasso interbancario che è l’ancora alla quale si legano i tassi sui derivati, sui mutui, sui crediti alle aziende e alle famiglie?
Al centro di questa ultima pagina nel libro nero della finanza e delle banche c’è la Barclays cha ha ammesso di avere ritoccato il Libor e si è vista appioppare una sanzione da 290 milioni di sterline. I suoi tre capi, a partire dall’onnipotente amministratore delegato Bob Diamond, si sono dimessi scaricandosi le colpe e tutti e tre le hanno scaricate sui trader, ultimi della catena (alcuni dei quali saranno arrestati). Ma hanno pure, ed ecco il cuore dello scandalo, chiamato in causa la Bank of England: sapeva, eccome se sapeva. Poco alla volta la trama si è allargata. 
Vediamo i fatti ormai acquisti. Punto primo: una nota interna alla Barclays dalla quale risulta una telefonata del 29 ottobre 2008 fra Bob Diamond e l’allora capo dell’area mercati di Banca d’Inghilterra, Paul Tucker. In quei giorni di terribile scombussolamento, i due parlano del costo delle transazioni interbancarie. Piccolo e insignificante indizio. Se non che nel dicembre sempre 2008 Paul Tucker si ritrova in tasca la nomina a vice governatore e nel computer, al mattino del 10 dicembre, gli arriva una mail di congratulazioni: «Ottimo. Sono orgoglioso di te. Lavoriamo insieme». Non c’è dubbio che fra Bob Diamond di Barclays e Paul Tuccker il legame fosse più che solido. Fino al punto di condividere la conoscenza delle «operazioni fraudolente» sui tassi?
Banca d’Inghilterra risponde sdegnata: Noi? Noi eravamo all’oscuro. Però piovono nuovi documenti. Quindi nuove tappe della vicenda. Punto secondo: una lettera della New York Federal Reserve, siamo nel giugno 2008, alla Old Lady, la banca centrale d’Inghilterra, in cui raccomanda «attenzione e cambiamenti nei processi di determinazione del Libor, comprese le procedure per prevenire falsificazioni accidentali o deliberate». Il tam tam era passato oltre l’Atlantico: sul tasso interbancario londinese c’era più di un motivo di attenzione. Punto terzo: un’altra lettera, del 22 maggio 2008, questa volta di un dirigente interno della Banca d’Inghilterra al superiore Paul Tucker. Il dirigente, come ha rivelato il Financial Times, «discute l’abilità  delle banche a distorcere i tassi Libor» e dice: «E’ plausibile che questi tassi siano influenzati da interessi commerciali».
Insomma, è evidente che dal maggio 2008 in poi la Banca d’Inghilterra qualche motivo di riflessione sull’andamento del Libor lo abbia avuto. Di sicuro non era partecipe alle manipolazioni ma, domanda decisiva, ha esercitato il controllo che avrebbe dovuto esercitare sui furbetti? Oppure ha chiuso gli occhi?
Mervyn King si è chiamato fuori. «Nessuno mi ha mai avvertito delle falsificazioni in atto». Anche lui, come tutti i protagonisti fa scivolare le responsabilità  sul vicino. Ma un governatore che, per quattro o cinque anni, si lascia passare sotto il naso certe manipolazioni sui tassi che ci sta a fare su una delle poltrone più importanti per gli equilibri monetari e finanziari mondiali?


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