Tasse più alte per i fuoricorso E sulle Province spunta il «riordino»

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ROMA — Adesso sì che sono «sfigati» per davvero gli studenti fuori corso, come profetizzò qualche mese fa il viceministro del Lavoro, Michel Martone. Gli universitari indietro con gli esami dovranno pagare una tassa più salata al momento dell’iscrizione. E l’aumento sarà  legato al reddito dichiarato dalle loro famiglie: al di sotto dei 90 mila euro lordi annui il rincaro sarà  del 25%, tra i 90 mila e i 150 mila del 50%. Mentre per chi ha la rarissima fortuna di appartenere a una famiglia che dichiara più di 150 mila euro, le tasse potranno addirittura raddoppiare.
La novità  arriva da un emendamento al decreto legge sulla spending review, la revisione della spesa pubblica, in conversione al Senato. E porta la firma dei due relatori, Paolo Giaretta del Pd e Gilberto Pichetto Fratin del Pdl. Sarà  un successivo decreto ministeriale a entrare nei dettagli ma fin da ora si stabilisce che saranno esentati gli studenti lavoratori. Il coordinamento universitario Link è pronto a scendere in piazza ma la norma una sua logica ce l’ha: i fondi pubblici sono da anni in calo e troppo spesso le facoltà  diventano un parcheggio in attesa di un autobus (il lavoro) che così potrebbe non arrivare mai. Le risorse aggiuntive serviranno a finanziare le borse di studio ma sarebbe sbagliato pensare a un tesoretto. 
Gli aumenti più pesanti riguarderanno una minoranza. Non perché manchino i fuori corso, anzi: sono 600 mila, uno su tre. Piuttosto perché scarseggiano i ricchi, almeno al momento della dichiarazione dei redditi: al di sopra dei 90 mila euro c’è solo l’1,28% dei contribuenti, sopra i 150 mila addirittura lo 0,36%. Qualcosina la perdono anche i professori: un emendamento di Giuseppe Valditara (Fli) elimina il trascinamento delle indennità  per i docenti che tornano a insegnare dopo un incarico esterno in un ente pubblico.
Nello stesso decreto legge c’è anche la riforma delle Province che tanto ha fatto discutere. Alla fine è rimasto fuori dall’emendamento dei relatori il salvataggio di Terni, Isernia e Matera, le tre amministrazioni mignon che pur non rispettando i due criteri fissati dal governo (350 mila abitanti e 2.500 chilometri quadrati di superficie), l’avrebbero scampata grazie alla cosiddetta «regola del due», almeno due Province in ogni Regione a statuto ordinario. Ma sull’argomento c’è polemica sia perché sono stati allungati i tempi a disposizione dei consigli delle autonomie locali per fare le loro proposte. Sia perché non si parla più di «soppressione e accorpamento» ma di «riordino». L’Italia dei valori ci vede una «manina che fa marcia indietro», il ministro della Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi ribatte che non cambia nulla e alla fine le Province saranno «dimezzate, ne resteranno 50/52».
In ogni caso anche le Province incassano un aiutino: 100 milioni di euro che dovrebbero dare qualche sollievo alle loro casse. Nelle norme sull’austerity rientra pure la Banca d’Italia, che dovrà  adeguarsi ai tagli su buoni pasto, auto blu e consulenze, mentre raddoppiano le multe per gli scioperi selvaggi comminate dalla Commissione di garanzia per i servizi pubblici. È passato anche l’emendamento ad personam della Lega per prorogare di un anno l’incarico del senatore Giuseppe Leoni al vertice dell’Aero Club d’Italia. Nel dubbio, lo stesso Leoni ne aveva presentato uno identico per l’Aula.
Anche ieri i lavori nella commissione Bilancio sono andati avanti fino a notte. Il decreto dovrebbe arrivare in Aula lunedì, per poi passare alla Camera.


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