by Editore | 13 Luglio 2012 11:23
ROMA — Il Centro Studi di Confindustria nemmeno un mese fa l’aveva messo nero su bianco: il calo del Pil (prodotto interno lordo) nel 2012 sarà del 2,4%, una stima doppia rispetto a quella del governo contenuta nel Def (documento economico finanziario). Ma ieri il presidente degli industriali, Giorgio Squinzi, è andato oltre, confermando la propria iscrizione al partito dei pessimisti sul futuro del Paese: «Nella migliore delle ipotesi — ha detto al forum del Comitato Leonardo —, calerà del 2,4%. In effetti probabilmente sarà anche qualcosa di più, perché nella seconda parte dell’anno faccio fatica a vedere miglioramenti…».
Appena il giorno prima il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, all’assemblea delle banche, aveva fissato in un «quasi 2%» la contrazione del Pil, in linea con il Fondo monetario internazionale che, all’inizio della settimana, lo ha confermato a -1,9%.
Una previsione, quella di Visco, che ieri il neoministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha detto di guardare «con massimo rispetto», forse un primo riconoscimento della possibilità sempre più concreta che, dopo la pausa di agosto, il governo riveda la propria stima sul Pil.
Nessun commento del governo invece alle parole di Squinzi, cui la settimana scorsa il premier aveva attribuito in qualche modo la responsabilità di far peggiorare lo spread (differenziale tra i titoli italiani e tedeschi) a causa dei commenti negativi sulle riforme. Un’occhiata all’andamento dello spread prima e dopo la fosca previsione sul Pil del presidente di Confindustria registra un peggioramento di quasi 15 punti. Ma, in realtà , secondo i commentatori, il peggioramento sarebbe dovuto alla diffusione del bollettino della Banca Centrale Europea che ieri ha alimentato di nuovo i timori sulla debolezza della congiuntura del Vecchio continente.
Del resto ieri Squinzi ha fatto quasi di tutto per non alimentare polemiche. Ad esempio, interrogato circa le dichiarazioni di fuoco di Monti circa la concertazione, ha risposto, sorridendo: «Sono in silenzio stampa». Oppure: «Ho perso la voce». Poi, con fare diplomatico, rispetto all’esistenza o meno di sinergie tra le varie forze politiche, sindacali ed economiche del Paese, si è limitato a commentare: «Come ho detto nei giorni scorsi siamo tutti nella stessa barca, siamo in un momento tempestoso e dobbiamo remare tutti nella stessa direzione».
Il tema della concertazione ha comunque tenuto banco. Ne ha parlato favorevolmente l’ex premier Romano Prodi, secondo cui «quando ci sono le trasformazioni da fare, avere chi comprende la necessità dello sforzo diventa unplus per il Paese». C’è tornato sopra il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, per il quale «l’uso distorto della concertazione ha creato problemi», perché «in passato» ha «portato decisioni molto negative». Opinione rafforzata dall’intervento del ministro del Lavoro, Elsa Fornero che ha detto: «Il governo ha sempre detto che se concertazione vuol dire decidere insieme, allora questo non è il governo della concertazione». La levata di scudi ha provocato l’intervento del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, in difesa dei sindacati: «Il dialogo fa bene a tutti, io ho fatto parecchie riforme anche nettissime e le ho fatte sempre discutendo con tutti». Di opinione opposta Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, secondo cui «Monti ha ragione: la concertazione ha rappresentato una ingessatura nella economia italiana dalla quale è bene liberarsi».
Intanto Squinzi è tornato sulla riforma del lavoro per ribadire le proprie perplessità : «La riforma non è soddisfacente: non ha migliorato sensibilmente la flessibilità in uscita e in compenso ha abbassato la flessibilità in entrata». E per non lasciare dubbi ha aggiunto: «Credo che qualche correttivo sia necessario». Ma Fornero ieri ha segnato un punto a proprio favore, chiudendo la trattativa con i partiti sugli ultimi emendamenti alla riforma che, a questo punto, può dirsi definita con buona pace dei detrattori.
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