Spesa per i sindacati nel mirino del governo

by Editore | 23 Luglio 2012 5:51

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ROMA — C’è grande attesa tra i sindacati per l’incontro di mercoledì con il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, sui tagli al pubblico impiego: 24 mila secondo la relazione tecnica al decreto sulla spending review. Il governo dovrebbe entrare nel vivo e spiegare come intende procedere, visto che già  8 mila dipendenti avrebbero i requisiti per essere pensionati da subito. 
Ma c’è anche un altro fronte che agita i sindacati da quando è circolata la voce che il rapporto di Giuliano Amato sui tagli alla politica contiene un capitolo sui distacchi sindacali, che ogni anno costano allo Stato qualcosa come 151 milioni, secondo le stime della Corte dei conti. I tagli del rapporto Amato potrebbero rientrare nel ventilato decreto di agosto, insieme a quelli alle agevolazioni fiscali e agli incentivi. Interventi da 6 miliardi circa che servirebbero per evitare l’aumento dell’Iva nella seconda metà  del 2013 e che, proprio per questo, sarebbe quantomeno imbarazzante per partiti e sindacati respingere. 
Per ora i sindacati tacciono. Per loro è già  un sacrificio quella norma della spending review che taglia del 20% i compensi per i Caf (centri di assistenza fiscale) derivanti dalle dichiarazioni fatte per conto dell’Inps. All’inizio il provvedimento era anche più severo e prevedeva di ridurre i contributi che lo Stato paga ai Caf per ciascuna dichiarazione cui prestano assistenza da 14 a 13 euro e da 26 a 24 euro, nel caso di quelle relative a due coniugi. I sindacati hanno subito protestato, rilevando che tali contributi erano già  stati tagliati dalla legge di Stabilità  del governo Berlusconi.
Ma non è detto che la spuntino anche questa volta. I patronati, che si occupano delle pratiche previdenziali e assistenziali, ricevono dallo Stato circa 450 milioni l’anno in base al lavoro svolto. La scure potrebbe abbattersi anche su di loro. Un tasto sensibilissimo.
La partita del pubblico impiego non è meno delicata. Finora i sindacati hanno potuto leggere solo il provvedimento. Mercoledì (o forse giovedì, dipenderà  dagli impegni parlamentari del ministro presente in aula sulla spending review) se ne saprà  di più: «Noi abbiamo un accordo con il governo, firmato a maggio scorso, che dice che gli esuberi verranno vagliati dalle parti — attacca Gianni Baratta della Cisl Funzione pubblica —. Ma ora si dovrà  dire come intervenire, stabilire i criteri. Mi auguro che non si facciano tagli lineari ma che, laddove nelle piante organiche risultino esserci dei buchi, vengano riempiti con eventuali eccedenze».
La Cgil intanto ha già  avviato le procedure per uno sciopero del pubblico impiego a settembre. Sull’iniziativa potrebbe convergere la Uil, mentre la Cisl per ora lo esclude. «Andiamo a questo incontro senza grandi aspettative — dice Rossella Dettori della Cgil Funzione pubblica — non discutiamo neppure una norma su cui non concordiamo». I tre sindacati saranno in piazza insieme giovedì per protestare sul tema degli esodati, la cui vicenda è tutt’altro che conclusa.
Ma il vero timore dei sindacati è un altro, e riguarda l’evolversi della crisi europea dei debiti sovrani e la situazione italiana. Pesano le immagini arrivate dalla Spagna, la scorsa settimana, con il popolo in piazza dopo le parole del ministro che ha dichiarato l’impossibilità  di pagare gli stipendi pubblici. Ecco, se c’è un timore che in questo momento attraversa i sindacati, è un timore non dichiarabile, quello di dover fronteggiare una tensione sociale che in tutti i Paesi finora, a partire dalla Grecia, è esplosa proprio sulla miccia del lavoro pubblico.

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