Sicilia, esclusa l’ipotesi default Vertice al Quirinale con Monti

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ROMA — L’equazione «Sicilia uguale Grecia» si allontana prima del tramonto. Quando, sull’asse tra Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia, «fonti governative» negano che l’Isola sia a un passo dal default. «Il rischio non c’è». Come non c’è un «problema strutturale». C’era un problema di «temporanea mancanza di liquidità », questo sì. Ma Roma ha risolto trasferendo a Palermo «400 milioni di euro già  programmati». 
In mezz’ora la nota arriva alle orecchie di Raffaele Lombardo, che per tutta la giornata aveva mandato fendenti all’indirizzo di un governo che gli aveva chiesto chiarimenti («È in atto un colpo di Stato»). E anche a uso e consumo di chi, come il vicepresidente di Confindustria Ivan Lo Bello, aveva invocato l’intervento immediato di Palazzo Chigi. «C’è qualche pseudo-industriale secondo cui io dovrei licenziare cinquantamila persone. Ma non lo farò mai», mette a verbale in una conferenza stampa. «Piuttosto questo pseudo-industriale vada a morire ammazzato», aggiunge. Voluto o meno è un autogol, visto che Lo Bello — che gli dà  dell’«uomo in grave difficoltà  psicologica» — è da tempo nel mirino della mafia. Infatti il governatore prima rettifica: «Non ho mai parlato di lui». Poi incassa l’assist delle «fonti governative» e chiude una giornata di fuoco: «Il trasferimento delle risorse smentisce il rischio default». 
Eppure il «caso Sicilia» tiene banco per tutto il giorno. Giorgio Napolitano abbandona in anticipo un convegno della Sapienza per un incontro «imprevisto e urgente con Mario Monti». Al Colle si parla anche dei rischi che stanno correndo le casse dell’Isola. Ma cinque minuti, non di più. Il resto del colloquio è dedicato ai «riscontri positivi sull’Italia» che il premier ha avuto nell’ultimo viaggio negli Stati Uniti. E soprattutto alle misure da adottare per far fronte agli attacchi speculativi che potrebbero sorprendere il Paese nel bel mezzo dell’estate. A cominciare da alcuni decreti che attendono di essere convertiti in legge.
A Lombardo, però, l’aria che tira a Roma non piace. Il governatore, infatti, teme che il faccia a faccia tra Monti e Napolitano sia l’anticamera del commissariamento. «Davvero a Roma stanno lavorando per questo?», è la domanda retorica a cui dà  voce prima di entrare in conferenza stampa. E risponde da solo: «Sarebbe un colpo di Stato».
Il resto del canovaccio lo recita davanti a tutti i giornalisti. Ed è l’autodifesa che replicherà  martedì prossimo nell’incontro col premier, che ieri l’altro gli aveva inviato una lettera di chiarimenti sulle sue dimissioni. «A Monti dirò che mi dimetto, se non mi sarò già  dimesso il 24 mattina», scandisce Lombardo. L’ipotesi che lasci prima del vertice di Palazzo Chigi c’è. Anche perché il suo unico obiettivo sembra diventato quello di gestire la transizione verso le elezioni anticipate a ottobre.
Già , le elezioni anticipate. Quando parla di «killeraggio», Lombardo pensa a una black list in cui ha inserito due nomi: Silvio Berlusconi e Pier Ferdinando Casini. Sarebbero loro, anche se il governatore non fa i nomi, i capifila di coloro che «vogliono solo rinviare le elezioni». Gli stessi che, aggiunge, puntano a che «la Sicilia diventi merce di scambio, in caso di elezioni contemporanee con le politiche, per un ministero in più».
Ha contro il Pdl, l’Udc e anche un Pd sempre più diviso, Lombardo. Ma, forte del sostegno dei finiani, che con Carmelo Briguglio respingono le voci di default derubricandole a «bluff», è intenzionato a far di tutto pur di evitare il commissariamento. Compreso dimettersi prima del 31 luglio. I fondi che arriveranno a Palermo dalla Ragioneria di Stato, che erano già  stanziati, gli danno fiato. E lui chiude la giornata con tre nomine all’Irfis. D’altronde l’aveva detto. «Altre nomine? Ne farò, ne farò…». E questa promessa l’ha mantenuta. Eccome.


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