SE IL MONDO ÈUN’AVVENTURA PER VIAGGIATRICI SOLITARIE

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Per quanto Simone de Beauvoir sostenesse che «Donne si diventa» certo non si è mai sognata di negare che a ottenere tale risultato occorra un’abbondante predisposizione naturale. Un’inclinazione di appena minor importanza serve per essere viaggiatrici. Ma, detto questo, se una donna che viaggia o viaggerebbe vuole impararlo a farlo da sola allora troverà  nel libro che Maria Perosino ha appunto intitolato Io viaggio da sola un’ottima guida (Einaudi). E «guida» in un senso assai più ampio di quello turistico del termine, per quanto di dritte giuste su ristoranti, alberghi e luoghi il suo libro ne dia anche svariate.
Già  storica e critica d’arte, responsabile dell’ufficio iconografico di Einaudi, poi curatrice di mostre e organizzatrice di eventi (come il Festival della Scienza di Genova), Perosino è una viaggiatrice più che collaudata. Dovendo contemperare la propensione e la necessità  al viaggio con diverse evenienze della vita, belle e brutte, è divenuta una vera e propria conoscitrice dell’esperienza viaggio, come una sommelier lo è dell’esperienza- degustazione o un’intenditrice d’arte lo è dell’esperienza-opera (e anche queste altre due esperienze sono familiarissime all’autrice). Non c’è sfumatura o retrogusto di una stazione ferroviaria o di una hall di albergo che le possa sfuggire.
Il libro prende origine da un aforisma che, con elegante perentorietà , precipita la lettrice nel cuore del problema e che l’editore ha saggiamente scelto come frase emblematica: «Viaggiare da sole non significa affatto essere sole. Significa che vi dovete arrangiare a portare la valigia». Questo impone per esempio oculatezza nella selezione della valigia medesima e poi nella scelta di cosa vi entrerà . Perosino avrà  poi tempo di spiegare come neppure viaggiare con un uomo garantisca sempre un minimo di galante servizio di facchinaggio: nella caratterologia maschile che il libro propone l’affetto non diminuisce la severità  del giudizio, che anzi impugna a tratti la sferza del sarcasmo. Ma gli uomini, nel senso dei maschi, entrano ben poco nel discorso: il libro ce ne fa sì incontrare diversi in veste di amici, amanti, compagni, parenti o estranei, ma sempre in ruoli da comparse o figuranti. Che si tratti di un aperitivo davanti al Bosforo o della decodificazione delle sigle ferroviarie che aiuta a scegliere il treno migliore o anche del modo per farsi trattare decentemente in un ristorante, al centro del libro sta una donna, di una qualsiasi età  compatibile con la voglia, l’energia, la possibilità  economica e motoria di starsene in giro. Il compito che si è data Perosino è di renderle al possibile allegra e comunque piena e appagante l’esperienza del viaggio, aggirando eventuali malinconie, carenze affettive e di bilancio, difficoltà  logistiche e pregiudizi sociali.
Quella che ne esce è una vera filosofia di vita, spicciola e arguta, che si sospetta possa essere utile non soltanto alle donne che viaggiano accompagnate, e neppure soltanto alle donne che amano starsene a casa ma, se non è osare troppo, persino agli uomini (almeno alcuni). Ancora più imponente e preziosa della sua collezione di biglietti da visita di posti per dormire e per mangiare è la mappa mentale che Perosino ha infatti compilato negli anni a proposito delle diverse evenienze che possono rallegrare o guastare un viaggio. Per le donne, la necessità  di farci caso è più acuta, perché il mondo resta ancora molto maschilista, e il punto di vista del libro di una donna per le donne consente moltissimi spunti di ironia e osservazione leggera e acuta che fanno del libro di Perosino una lettura piacevolissima. Ma (potrei anche sbagliarmi) alla fine il punto vero non riguarda tanto il gender.
Lo introdurrei così: non confondiamo il viaggio con il chilometraggio. Per «viaggio» è meglio intendere quell’intermittente atteggiamento in cui siamo più motivati e incuriositi a percepire, abbiamo più attenzione e meno siamo immersi nell’usuale monologo interiore egotistico. È più facile avere tale atteggiamento in viaggio che a casa propria, guardando cose e panorami nuovi: però non è un caso se una delle pagine più belle è quella in cui Perosino si trova a contemplare la nebbia. È più importante quel che si guarda o il fatto di avere gli occhi aperti? Bisogna sapere come esaltarlo, quel certo atteggiamento, e non frustrarlo o annegarlo nella marea di banali autocommiserazioni di cui ognuno di noi può facilmente disporre.
Chi è in preda a dispiaceri a volte viaggia «per distrarsi»; per certi versi è anche il caso di Perosino, ma una volta partite quello che chiamiamo «distrazione» è anche il meccanismo più importante del viaggiare. Viaggiare è imparare a dare meno importanza a sé, cosa che poi si rivela una delle migliori che possiamo fare a quel certo sé, il quale è solo beneficato dal perdere ogni tanto di vista le proprie ossessioni (a partire dall’ossessione di sé medesimo).
Con la scusa di consigliare l’uso cromatico dei foulard o le cose da notare nell’ingresso di una trattoria per decidere se mangiare lì, Perosino suggerisce di uscire e di prendere il meglio che il mondo esterno ha da darci. È molto utile, datemi retta, lo dico per esperienza. Da quando conosco Maria, viaggio un po’ da solapersino io.


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