ROBERT CARO

by Editore | 8 Luglio 2012 13:14

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NEW YORK – Il libro più discusso e ammirato della stagione è una biografia di un uomo potente, il quarto volume di una monumentale biografia che Robert Caro ha dedicato a Lyndon Johnson, e che ha già  fruttato all’autore due premi Pulitzer, un National Book Award e la National Medal for Humanities dalle mani del presidente Obama, il quale ha dichiarato che «è stata l’opera di Caro a forgiare il mio modo di concepire la politica ». L’opera, che sarà  conclusa nei prossimi anni con un quinto volume, è una profonda meditazione sul potere e sul rapporto tra morale e politica, che Johnson interpretava come arte del possibile. Il trentaseiesimo presidente ne emerge come un personaggio controverso, capace di meschinità  e di intuizioni geniali, dotato in egual misura di un cinico e brutale opportunismo e di un sano idealismo. Neanche in America, dove il biografo è una vera e propria professione, esiste un autore con un approccio così appassionato e minuzioso: Caro, che ha pubblicato finora 3000 pagine su Johnson, ha già  dedicato a quest’opera quarant’anni. Lo straordinario sforzo storiografico e il modo di lavorare all’antica hanno portato il New York Times a pubblicare la copertina del magazine con il titolo “È un dinosauro. Ma ringraziamo Dio per questo”.
«Scrivo ancora la prima stesura a mano» racconta nel suo ufficio vicino a Columbus Circle «e la ricercatrice di cui mi fido maggiormente è mia moglie Ina. Credo poi nella verifica personale di ogni fatto prima della pubblicazione e nei riscontri oggettivi: questo ad alcuni può apparire fuori dal mondo, ma non saprei lavorare altrimenti».
Perché tra tutti i politici ha scelto proprio Lyndon Johnson?
«Perché è un personaggio affascinante ed emblematico. Ha fatto tutta la gavetta politica e ha conosciuto Washington come pochi, e nella sua storia ho voluto vedere l’emblema della costruzione, della conquista e della gestione del potere».
Lei si dilunga sulle elezioni del 1948, in cui divenne senatore.
«Perché in quelle elezioni riuscì a entrare al Senato con una frode. La vicenda era stata sempre una leggenda politica di Washington, ma io sono riuscito a trovare le prove. Vinse per 87 voti contro Coke Stevenson, il quale ha sempre denunciato inutilmente i brogli. Quando ho iniziato a scrivere, mi sono trasferito nel Texas del Sud, mettendomi sulle tracce di Louis Salace, il presidente di giuria del seggio discusso. Tutti i testimoni dell’epoca, vicini a Johnson, mi avevano detto che era morto, o che era in Messico, ma ho scoperto che invece viveva in una roulotte dietro la casa della figlia. Appena mi ha visto ha capito che non avrebbe potuto più nascondere nulla e mi ha detto “immagino che vorrà  parlarmi della scatola n.13”: era la scatola che era stata ritrovata misteriosamente dopo che aveva vinto Stevenson e che aveva ribaltato le sorti dell’elezione. Conteneva 200 voti, tutti scritti a penna e con la stessa grafia. E inutile dirlo, erano tutti per Johnson».
Lei sembra affascinato dalla spregiudicatezza di Johnson.
«Ne ammiro la forza e l’intelligenza che ha dimostrato anche nei momenti più cupi, ma non ne giustifico i metodi».
Kennedy, che lo sconfisse dopo un’aspra battaglia nella nomination democratica, lo volle nel ticket presidenziale.
«Kennedy fece una scelta puramente politica: sapeva che senza Johnson non avrebbe conquistato il Texas e avrebbe certamente perso le elezioni».
Perché Bob Kennedy detestava Johnson?
«Perché aveva un carattere più focoso, e per molti aspetti meno pragmatico. C’era una rivalità  personale e inoltre Bob non aveva mai perdonato gli attacchi duri che Johnson aveva fatto contro il padre Joe e le insinuazioni sulle sue discutibili frequentazioni. Molti testimoni mi hanno raccontato che quando si trovava nella stessa stanza con Johnson si creava una tensione insopportabile: era come vedere due cani che non si sono mai incontrati che vogliono tracciare i confini del proprio territorio. C’è un altro elemento, molto importante: Bob temeva Johnson. Ne conosceva lo straordinario potere che aveva acquisito come leader della maggioranza al Senato. Capiva di avere di fronte un personaggio inarrestabile».
È vero che Lady Bird Johnson, dopo un’iniziale collaborazione, ha smesso di parlare con lei?
«Sì, ma questo è precedente alla stesura del primo libro. Le scrissi che stavo progettando un’opera senza alcun pregiudizio negativo, ma neanche positivo, controllando tutti i documenti».
Molti ritengono che il più grande risultato di Johnson siano state le riforme conosciute come “guerra alla povertà ”.
«È stato un momento significativo, ma a mio avviso sono ancora più importanti le battaglie per i diritti civili e in particolare il Voting Rights Act. È stato qualcosa di rivoluzionario, che eliminò restrizioni assurde e consentì il voto diffuso tra gli afro-americani. Nella firma che appose il 6 giugno del 1965, con Martin Luther King alle sue spalle, vedo un momento di esercizio di potere e di genialità  politica. L’elezione di Barack Obama, 43 anni dopo, nasce in quel momento ».
THE PASSAGE OF POWER: THE YEARS OF LYNDON JOHNSON
di Robert A. Caro
Knopf, pagg. 736, $ 35

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