by Sergio Segio | 10 Luglio 2012 11:18
Ridefinire il «programma F-35 Joint Strike Fighter» non significa disarmare l’Italia, né relegarla ad un ruolo marginale nello scenario internazionale. Contenere ulteriormente il numero di caccia F-35 da acquistare nei prossimi anni, non vuol dire chiamarsi fuori, tout court, da un programma condiviso con altri Paesi alleati, Usa in primis, che resta comunque strategico per l’Italia. Ridimensionare questa spesa miliardaria non solo è in sintonia con tempi di contenimento di bilancio, ma può servire per delineare con più nettezza e meno velleitarismi, un modello di difesa più consono a un Paese come il nostro.
Tagliare per rilanciare un’idea di difesa sempre più compenetrata a livello europeo e proiettata su scenari regionali a partire dal Mediterraneo nei quali l’Italia può e deve svolgere una funzione di spinta, ma prendendo come modello le missioni all’estero in cui è impegnata a cominciare dall’Unifil 2 in Sud Libano di cui abbiamo il comando e mettendo da parte progetti ipertrofici. Su questa direttrice l’Unità ha
da tempo aperto un confronto di idee, di proposte, che ha coinvolto le parti più avvertite dell’arcipelago pacifista e quanti operano con abnegazione e lungimiranza nel campo delle strategie di difesa.
Una «Spending review», non demagogica ma sostanziale, può permettere una ulteriore riduzione del numero di F-35 attualmente 90 , a fronte dei 131 iniziali che l’Italia intende acquisire. Studi di settore dimostrano come sia possibile rinunciare ad almeno la metà dei 90 F-35, senza per questo venir meno al necessario ammodernamento del nostro sistema di difesa aerea. «Sugli F35 non contesto la scelta tecnica. Si tratta certo di un aereo migliore di quelli che abbiamo, e ci mancherebbe altro visto quanto ci costano… È però, l’F35, un aereo che è già meno sofisticato di quelli che stanno uscendo adesso e per i fanatici della tecnologia, sarà vecchio quando entrerà in servizio da noi. Quello che è ormai insostenibile, è la base concettuale sulla quale è stato fatto il programma: era velleitaria la pretesa italiana di volersi dotare di aerei che nemmeno gli Usa avevano in quel momento; era velleitario il programma numerico che nessuno in Europa si poteva permettere. Ed era velleitario, alla fine, perché non si capiva, e non si continua a capire, contro chi quel programma doveva essere impiegato», dice a l’Unità il generale Fabio Mini, ex Capo di Stato maggiore delle forze Nato del Sud Europa, già comandante della missione Nato-Kfor in Kosovo nel periodo 2002-2003. «Sono armi inutili e costose che non portano alcun beneficio al nostro Paese», rilancia Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace.
L’Italia dovrebbe iniziare ad acquistare i primi quattro aerei quest’anno.
Gli altri, entro il 2023. Un solo F-35 sottolineano i promotori della campagna «Tagliamo le ali agli F-35» costa 120 milioni di euro, secondo la stima attuale di prezzo destinata però a crescere come annunciato da Pentagono e Lockeed Martin a seguito delle varie disdette e slittamenti di ordini arrivati. Per 90 velivoli, in tutto l’Italia finirà per spendere più di 10 miliardi di euro, ai quali se ne dovranno aggiungere altri 20-30 per la gestione e manutenzione dei velivoli. Una spesa che potrebbe essere dimezzata, con un risparmio (da reinvestire magari in settori della vita sociale) di 6 miliardi di euro. Per essere ancora più precisi: sospendere e dimezzare la spesa di acquisto dei caccia d’attacco Jsf (gli F35), può determinare un risparmio di 2,9 miliardi nel triennio 2012-2014 e 4,38 miliardi nel periodo 2015-2023.
Non è solo questione di risparmiare in una situazione di crisi. La sfida è un’altra e ben più ambiziosa: tagliare per rendere più efficiente, funzionale, produttivo il nostro sistema di Difesa. Ciò porta con sé la necessità di aprire un tavolo con i nostri partner internazionali e riflettere, in quell’ambito, se quel programma ha davvero un futuro e se sì, quale. Il Pentagono rileva un recente studio dell’Archivio Disarmo sta suggerendo al governo americano una seria riconsiderazione della fornitura e della produzione… La produzione dell’F-35 a decollo verticale è stata interrotta, mentre la versione dell’F-35 a decollo breve e atterraggio verticale per portaerei con ponti ridotti, testata a fine ottobre, ha evidenziato numerosissimi problemi tecnici..”. Nessun obbligo, dunque, tanto più che, oltre agli Usa, anche Gran Bretagna, Canada, Norvegia, Australia e Turchia stanno procedendo al rallentamento del programma F35, con riduzione di ordini e ripensamenti graduali. Perché non seguire il loro esempio?
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