Radiazioni con il trucchetto

by Editore | 22 Luglio 2012 16:45

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TOKYO – «Il capo veniva a trovarci nel dormitorio, già  la prima sera, per darci le ultime istruzioni. Poi ci consegnava una scatoletta all’interno della quale c’era il dosimetro. Era molto pesante ma lui ci spiegava di stare tranquilli, che era solo la custodia ad essere pesante, perché era di piombo. Poi cambiava tono e ci diceva beh, cosa volete, lavorare qui solo un paio di giorni o abbastanza per metter via un bel gruzzoletto? Siete qui per la paga, no? Mica vi pagano così bene per non far nulla, no? Qui si fatica, si rischia, ma si guadagna. E su questo, eravamo tutti d’accordo. Così, quando ci spiegava la funzione della custodia per il dosimetro, dicendoci che eravamo liberi di non usarla, ci faceva chiaramente capire che invece dovevamo usarla».
È il racconto di un eroe. Di un samurai dell’atomo, come qualche buontempone aveva definito, subito dopo il disastro nucleare, i forzati di Fukushima. 
Altro che eroi, altro che samurai: uomini a perdere. Disperati ed emarginati rastrellati in tutto l’arcipelago, disposti a farsi avvelenare, a farsi contaminare per un pugno di yen. 
Testimoni allo scoperto
Solo che ora non sono testimoni anonimi, voci senza volto raccolte in un’osteria che non potranno mai essere citate o confermate in un aula di tribunale. Stavolta hanno nome e cognome e sono pronti ad uscire allo scoperto. Apriti cielo.
A riaprire la ferita, tutt’altro che rimarginata, di Fukushima e della Tepco, la compagnia elettrica che il governo ha appena seminazionalizzato per far fronte agli enormi debiti accumulati e il cui neopresidente, Naomi Hirose, chiede una nuova apertura di credito nei confronti sia della sua azienda che dell’indispensabile, sicurissima energia nucleare, stavolta non è l’ennesimo blog, l’ennesimo giornalista free-lance che dal giorno dopo del disastro denuncia le malefatte della Tepco e dell’intera, corrotta e melmosa lobby nucleare, ma nientedimeno che l’Asahi Shinbun, tornato, da qualche mese, a sferzare le autorità  come faceva negli anni 50 e 60, quando si era schierato contro l’alleanza con gli Stati Uniti, il trattato di sicurezza e il «movimento» – poi miseramente naufragato – degli studenti. 
Il più autorevole quotidiano giapponese (anche se non il più venduto, appena 8 milioni di copie contro gli 11 milioni dello Yomiuri, da sempre gran sostenitore del nucleare) ieri ha aperto la prima pagina e dedicato tutta la seconda alla vicenda dei dosimetri taroccati forniti agli «zingari nucleari» di Fukushima, ovviamente all’insaputa della Tepco (che ha immediatamente annunciato di aver ordinato una inchiesta interna). E ci mancherebbe.
Che lavorare all’interno della centrale fosse – e tutt’ora sia – estremamente pericoloso e contaminante, si sapeva. Come si sapeva – avevamo raccolto anche noi alcune voci, l’anno scorso, tra gli operai che avevamo intervistato, ma erano, appunto, voci – che per aggirare i pur generosi limiti stabiliti (e ripetutamente innalzati) per l’assorbimento delle radiazioni agli operai «a perdere» erano consentite – o imposte, chissà  – varie opzioni. La riassunzione sotto falso nome era tra le più comuni: in Giappone, dove non è fatto obbligo ai cittadini di avere un documento di identità , per fare certi lavori non serve particolare documentazione: si dichiara il proprio nome, anche falso, si fornisce un indirizzo e sei arruolato. Non serve neanche un conto in banca. Certi lavori si pagano in contanti. A fine mese. O a fine contratto. Che può essere di una settimana, un mese, una stagione. Un anno. Ma dal disastro in poi la precarietà  contrattuale è aumentata assieme al rischio di una nuova, sempre possibile, catastrofe. Ci mancherebbe che oltre a gestire l’apocalisse, la Tepco (cioè il governo, visto che ne ha acquisito la maggioranza) debba anche pagare gli zingari che se ne stanno a casa.
Appalti in odor di yakuka
Si sapeva, dunque, che molti operai che avevano raggiunto il dosaggio massimo consegnavano il proprio dosimetro «scaduto» e si ripresentavano il giorno dopo, con falso nome, ottenendone un altro. Tutte cose che succedono lontano – anche solo di pochi chilometri – dagli occhi della Tepco, che per questo tipo di «forniture» si avvale di centinaia di piccole e medie ditte appaltatrici, alcune delle quali, in odore di yakuza, la mafia locale. 
L’Asahi Shinbun, che all’inchiesta ha destinato una decina di giornalisti e che alla quesione nucleare ha deciso di dedicare una vera e propria campagna fino a quando il governo non avrà  deciso di abbandonarlo («abbiamo raccolto un enorme materiale – ci ha confidato un collega coinvolto nell’inchiesta – ma lo tireremo fuori un po’ alla volta») ha ricostruito tutta la vicenda, giungendo, per ora, alla conclusione che i dosimetri taroccati, avvolti un una pellicola/custodia (vedi vignetta in basso) di pombo capace di ridurne la sensibilità  fino al 70% erano stati costruiti da una terza ditta, su ordine della Buildup, subappaltatrice – in seconda battuta – a sua volta della Tepco. Perfettamente concepibile dunque che i dirigenti di quest’ultima nulla sapessero di questa «furbata». Meno chiaro è fino a che punto ne fossero invece a conoscenza, e quale fosse il loro margine di decisione, gli operai «rastrellati», con il miraggio di forti e veloci guadagni, dalle ditte subappaltatrici. 
A leggere quanto ha scritto sinora l’Asahi, parrebbe che ne fossero consapevoli, e che avessero la possibilità  di scegliere se usare o meno la custodia protettiva di piombo. Ma oramai ci aspettiamo di tutto e se è vero che il giornale ha sinora pubblicato una minima parte della lunga inchiesta sul lato oscuro del nucleare, c’è da scommettere che ci aspetta ben altro. 
Nel frattempo, c’è il rischio che ripartano altre centrali. E per convincere anche i più scettici, il governo ha appena approvato l’indecente richiesta della Tepco di aumentare le bollette dell’8,7%. Così imparate a mettere in dubbio la bellezza, e convenienza, del nucleare. E del mondo stupendo che lo circonda.

Foto: LA RICOSTRUZIONE
Nella vignetta, la ricostruzione del dosimetro taroccato, così come l’ha pubblicata l’autorevole quotidiano giapponese «Asahi Shinbun» che ha denunciato lo scandalo. Per ridurne la sensibilità  (fino al 70%), il dosimetro era avvolto da una pellicola di piombo.

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