by Editore | 19 Luglio 2012 9:00
Una storia d’amore e di guerra. Una vicenda unica in Europa. Un legame forte che neppure i nazisti riuscirono a scalfire. Gli ebrei e la Bulgaria: un destino che viene portato a esempio quando si parla di Olocausto. Perché, pur alleata della Germania hitleriana, Sofia non permise ai tedeschi di toccare un solo suo cittadino di «fede ebraica». Soltanto al termine del conflitto, con l’arrivo dei comunisti, i 48 mila ebrei di Bulgaria emigrarono in Israele dove oggi sono la quarta comunità per origine dopo russi, romeni e polacchi. E dove, appena possono, prendono un aereo per tornare nella terra di cui ancora oggi capiscono la lingua, per bagnarsi nel mare che i nonni frequentavano come gli italiani frequentavano la Riviera. Il Mar Nero come l’Adriatico? Sì, nei ricordi di chi trascorreva le vacanze sulla costa che andava da Costanza, in Romania, a Burgas, in Bulgaria, le onde erano ugualmente «dolci», la sabbia «fine». Nel periodo d’oro, dall’inizio del Novecento allo scoppio della Seconda guerra mondiale, le famiglie della borghesia ebraica lasciavano le città dell’interno — Sofia, Plovdiv, Bucarest — per trascorrere luglio e agosto in riva a quel «piccolo oceano» sul quale si affacciava un’altra Europa, un’Europa che procedeva senza saperlo verso la propria distruzione.
Burgas era una delle cittadine più di moda. Perché era piccola, come un shtetl (il villaggio ebraico dell’Europa Orientale), ma sul mare. Perché aveva una sinagoga preziosa, progettata dall’architetto italiano Riccardo Toscani che si era ispirato al tempio di Firenze, con quegli elementi neobarocchi e neoclassici che ne facevano un edificio di sapore mediterraneo. Fuori posto? Non per i gusti del tempo, e per una comunità fiorente che aveva commissionato la costruzione del proprio luogo di culto a quell’italiano che aveva scelto di vivere a Burgas, incantato dalla bellezza della natura. Toscani non visse fino alla guerra, all’alleanza della Bulgaria con la Germania nazista. Morì prima e gli fu risparmiato un periodo di drammi (il Parlamento di Sofia arrivò a votare nel 1941 una legge antisemita) e anche di coraggio. Perché grazie alla volontà del ministro della Giustizia Dimitar Peshev e della Chiesa ortodossa, e al coraggio di migliaia di cittadini, quando arrivò l’ordine di deportare gli ebrei bulgari, i nazisti nel Paese non riuscirono a portare a termine il loro piano. Come racconta Michael Bar-Zohar, storico israeliano nato a Sofia nel 1938, gli ufficiali delle SS osservarono stupefatti la popolazione scendere in piazza a difesa dei loro concittadini e dovettero rinunciare, per ben due volte, a riempire i treni.
Al termine della Seconda guerra mondiale, i 48 mila ebrei bulgari erano tutti sani e salvi. I tedeschi erano riusciti a deportare soltanto chi, nel territorio controllato da Sofia, non ne aveva la cittadinanza. Un esodo però era comunque alle porte: con l’arrivo delle truppe sovietiche, e l’ingresso della Bulgaria nella sfera di Mosca, quasi tutti decisero di partire per Israele, unica comunità intatta (insieme alla piccola congregazione danese) al termine della mattanza nazista. Coesi e legati al Paese d’origine, gli ebrei bulgari, ora cittadini di Israele, hanno continuato a sognare per decenni i villaggi da cui erano fuggiti, ormai chiusi dietro la cortina di ferro. Solo con la caduta del comunismo la Bulgaria è tornata una meta per i discendenti israeliani: nipoti e pronipoti che ne hanno fatto una destinazione per le vacanze, soprattutto dopo che la Turchia — in seguito alla recente crisi diplomatica nata con l’assalto delle truppe speciali israeliane alla nave Mavi Marmara — da destinazione privilegiata è diventata un luogo da evitare per ragioni di sicurezza.
La dolce Burgas: fino a ieri un paradiso, ora perduto.
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