Quel manager insofferente che sfida sindacati e mercato

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TORINO â€” Se i tedeschi di Wolfsburg considerano «insopportabile» Sergio Marchionne come presidente dell’Acea e stanno prendendo in considerazione l’ipotesi di abbandonare, come gruppo Volkswagen, l’associazione europea dei costruttori di automobili, questi sono affari loro, padroni di pensare e di fare liberamente ciò che vogliono. In termini meno diplomatici, il «no comment» del Lingotto alla replica di Vw all’attacco di Marchionne alla sua politica dei prezzi sottintende questo pensiero che sicuramente non contempla le dimissioni del ceo di Fiat dalla presidenza Acea. In fondo, lasciano intendere a Torino, Marchionne non ha fatto altro che richiamare l’attenzione sui prezzi in un momento di grande tensione dei mercati, sottolineando cose che tutti pensano, anche quelli che non ne parlano.
Capitolo chiuso in attesa del cda di martedì prossimo sui risultati del secondo trimestre e del primo semestre 2012 del Lingotto? Sembrerebbe di sì, se non fosse che il battibecco Torino-Wolfsburg ha riacceso, in piena estate, i riflettori sul caso Fiat e sulle scelte, qualcuno dice le contraddizioni, del personaggio Marchionne sempre più nervoso e forse per questo indotto a errori comportamentali che nei primi quattro-cinque anni alla guida di Fiat non avrebbe mai commesso. Come questa scivolata su Vw che per molti è stato come rinnegare quella logica di mercato alla quale era parso ispirarsi un manager per giunta di formazione
americana come lui. Perché se il mercato viene prima di tutto, questa è una opzione che non può essere adottata a intermittenza e le sue regole o si accettano o non si accettano. Mutuando la battuta di Humphrey Bogart nel celebre film “L’ultima minaccia” di Richard Brooks del 1952 adesso i tedeschi
potrebbero dire a Marchionne. «E’ il mercato, bellezza, è il mercato. E tu non ci puoi fare niente, niente».
Ma in questo cortocircuito con i tedeschi c’è chi vede un altro nervo scoperto di Marchionne che sicuramente avverte sul collo il fiato del colosso di Wolfsburg che, si vuole, sempre interessato
all’Alfa Romeo senza però
mai uscire allo scoperto.
Cosa che accentua l’inquietudine del ceo di Fiat e Chrysler. Il quale, tra l’altro, non sembra avere dimenticato che alcuni dei manager della sua Fiat ma anche di quella di prima sono «emigrati» trovando ottima accoglienza in casa dell’avversario tedesco. Forse anche per questo la Vw da modello da imitare si è trasformato in concorrente che sul ring ricorre a colpi bassi. Anche se poi gli si dice che «è libero di fare ciò che gli pare». Disinteresse più che far play in attesa di vedere che cosa accadrà  realmente in un’industria europea dell’auto in cui la Fiat soffre di una caduta libera che compensa solo con i risultati della Chrysl in Nord America, col suo buona andamento in Brasile e con qualche guadagno ancora modesto in Asia, come confermato dai dati sulla prima metà  del 2012.
E intanto c’è chi, come il sindacato, teme che lo scontro con Volkswagen
possa essere una tappa di avvicinamento verso l’obiettivo finale che è quello di dimostrare che l’Italia non è un paese per costruttori di automobili. «Marchionne aspetta solo l’incidente e affronta anche il rischio contraddizioni » osserva Giorgio Airaudo, dirigente della Fiom «ostracizzata» da Mirafiori.
E probabilmente fa riferimento alla complessità  di questo personaggio soprattutto nella sua seconda fase al vertice Fiat (nella prima era stato osannato da tutti, compresi insospettabili «nemici di classe»). Il Marchionne che dopo avere lamentato una scarsa produttività  è passato a indicare come male della Fiat e del settore un eccesso di capacità  produttiva fino a ipotizzare la chiusura di uno stabilimento e che, a chi gli chiede che fine a fatto Fabbrica Italia, risponde: «Io so che il mercato italiano in un anno è sceso da 2,4 a 1,4 milioni». Con ciò aumentando l’incertezza sul futuro del Gruppo in Italia. Perché il punto debole è qui se è vero che quest’anno la produzione tricolore di Fiat sarà  decisamente sotto la soglia del mezzo milione di vetture. Ed è lo stesso Marchionne che, dopo avere invocato a suo tempo la rottamazione l’ha poi rinnegata per tornare a invocarla — in questo non è il solo — a livello europeo e che dopo aver detto di non voler bruciare modelli nuovi sull’altare della crisi si trova ora a scontare gli effetti di un’assenza di prodotto che, per gli esperti, è ciò che sta penalizzando fortemente il Lingotto.


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