“Euro in salvo anche senza Atene e ora Obama vincerà  le elezioni”

by Editore | 2 Luglio 2012 4:41

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ROMA – «Il vertice europeo non avrà  raggiunto risultati esaltanti, ma ha conseguito quel minimo di obiettivi che probabilmente eviterà  l’aggravarsi e l’estendersi della recessione. E questo basta a Obama per sentirsi confortato». Peter Diamond, collega e amico di Franco Modigliani all’Mit, Nobel nel 2010 al pari del professore italiano che l’aveva vinto nel 1985, al suo fianco maestro di Mario Draghi e Ben Bernanke, è in Italia per la summer school dell’Istituto Iseo. Dalla cittadina nel bresciano sede del prestigioso think-tank economico, ha seguito il vertice di Bruxelles.
La stampa Usa è piena di elogi per Monti ma di scetticismo sull’efficacia delle misure. Quale voce bisogna ascoltare?
«Qualche perplessità  è comprensibile, ma lo scenario peggiore è stato evitato. Giustamente si è puntato sul consolidamento del sistema bancario perché le banche sono la base dell’economia. Non ci sarà  l’armageddon europeo: solo in questo caso l’America sarebbe tornata in recessione e Obama avrebbe perso le elezioni. Ora queste evenienze, entrambe sciagurate, saranno evitate». 
Gli Stati Uniti non hanno anche problemi interni come il fiscal cliff di fine anno che potrebbe generare uno scenario di tipo europeo?
«La prima preoccupazione è il debito pubblico, ma il fatto di disporre del dollaro come valuta di riferimento globale, quello che non è riuscito all’euro, rende sopportabile la necessità  di finanziamenti aggiuntivi senza dover alzare i tassi né importare inflazione. Guardate all’accoglienza-zero che ebbe il downgrading di S&P. Per quanto riguarda le tasse, è vero, a fine 2012 scadono le esenzioni fiscali per i ricchi che risalgono ai tempi di Bush, aumenta una serie di altre aliquote, vengono ridotti i sussidi di disoccupazione. Tutto questo insieme causerebbe un calo dei consumi e forse la recessione. Ma sono sicuro che si troverà  il modo di alleggerire il carico».
Malgrado ci si avvicini al famoso periodo del lame duck, il presidente impossibilitato ad agire perché in scadenza?
«Macché: il momento in cui passano con più facilità  le riforme, certo non grandiose ma settoriali, sono i mesi a cavallo delle elezioni. Buona parte del Congresso scade e gli uffici di Washington sono pieni di deputati e funzionari impegnati solo a trovarsi un nuovo lavoro. Non si preoccupano gran che di cosa votano e firmano: così le lobby hanno gioco facile per ridurre le tasse».
A proposito di tasse, da varare congiuntamente fra i due lati dell’Atlantico è la Tobin Tax: perché tante incertezze?
«Sarebbe sacrosanta. Si teme la fuga dei capitali, ma basta specificare che le nuove obbligazioni saranno monetizzabili solo nei Paesi in cui si applica la tassa. Si può creare una nuova classe di titoli soggetti alla tassa, ma in possesso di una serie di caratteristiche preferenziali. Progressivamente questo mercato di serie A si rafforzerà  e s’imporrà , sono sicuro che a quel punto l’Inghilterra si assocerà . Restano i paradisi fiscali, messi ai margini perché esclusi da una serie di possibilità  operative. Non ne sentiremo la mancanza: due problemi risolti con un colpo».
Infine la Grecia: in America si guarda ormai a un euro a 16?
«L’eurozona dopo questo vertice può farcela benissimo senza Atene. L’euro è forte e saldo, l’effetto contagio non ci sarà . Del resto la Grecia è virtualmente fallita e fuori dall’Unione, i pochi contratti devono essere pagati in anticipo e redatti secondo il diritto di qualche altro Paese. Resta un dubbio, una provocazione ma noi economisti la studiamo: il ritorno della dracma sarebbe una tragedia nazionale e l’ulteriore impoverimento devastante, ma se dopo qualche anno la Grecia conoscesse una fase di sviluppo, che esempio sarebbe? Meglio evitare che Atene esca».

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