Province, colpo di acceleratore già venerdì l’ok alla riduzione
ROMA — Si scrive accorpamento, si legge soppressione. Più che una stretta, sulle Province si prepara la tagliola. Con l’obiettivo di risparmiare — attraverso un probabile dimezzamento — più di 1 miliardo di euro. Serve anche quello, nella corsa contro il tempo per evitare l’incremento dei due punti di Iva. Una scure che potrebbe scendere prima dell’agosto pur indicato ieri dai ministri ai rappresentanti degli enti locali ricevuti a Palazzo Chigi.
La novità matura in serata tra gli uffici del “tagliatore” Enrico Bondi, quelli del ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi e del collega Piero Giarda. Al momento, l’accorpamento non compare nel decreto sulla Spending review messo a punto da Palazzo Chigi per l’approvazione nel Consiglio dei ministri di venerdì. Operazione rinviata, si dice, alla terza fase del percorso a tappe per il recupero di 8-9 miliardi. Il mese prossimo è la dead line per l’accorpamento degli enti intermedi, dopo la prima tappa dei tagli alla Presidenza del Consiglio e la seconda sul resto della pubblica amministrazione. Tutto rinviato cioè per le Province alla riorganizzazione periferica dello Stato (prefetture, questure, sovrintendenze, provveditorati, uffici Inps). Ma in serata lo spiraglio per l’accelerazione. «Stiamo studiando una soluzione che ci consenta di anticipare il capitolo Province al cdm di venerdì» lasciano trapelare da Palazzo Chigi. Ancora solo un’ipotesi sotto esame.
Accorpare gli attuali 109 enti — costo 17 miliardi di euro l’anno circa — per ridurne il numero, dunque. A quanti? Sarà proprio l’oggetto del contendere delle prossime 48 ore e sarà una braccio di ferro (con la maggioranza) tutto politico. Tre i requisiti minimi per la sopravvivenza individuati già da tempo dall’esecutivo: i 350 mila abitanti, i 50 comuni sul territorio, i 3 mila chilometri quadrati di estensione. In un primo momento si era detto che, per restare in vita, una Provincia dovesse avere almeno due requisiti su tre. In questo caso si passerebbe da 109 alla metà circa (54, l’ipotesi). Ora non si esclude un ulteriore giro di vite, che potrebbe concretizzarsi nell’obbligo di rispettare tutti e tre i requisiti. Sarebbero una sessantina, a quel punto, gli enti soppressi. Alle Province resterebbero comunque le competenze su strade e ambiente. Salvati i capoluoghi di regione e trasformate le dieci principali Province in «città metropolitane». E intanto, già nella prima versione del decreto, compare il divieto per questi enti di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato. «Non sono più sostenibili per lo Stato i costi molteplici delle strutture territoriali» spiegava ieri il viceministro all’Economia, Vittorio Grilli.
Ai presidenti ricevuti ieri, il ministro Patroni Griffi dice chiaramente che l’alternativa a una profonda cura dimagrante potrebbe essere quella cancellazione già prevista nei mesi scorsi e poi accantonata. Insomma, meglio trattare. «Tutta la spending review è una grande operazione di buon senso, stiamo cercando di introdurre nella cosa pubblica quel che ciascuno di noi farebbe a casa propria», la filosofia del ministro. Dall’altra parte del tavolo, i rappresentanti delle Province si sono mostrati più disponibili di altri interlocutori. Ma non per questo meno preoccupati. È stata la stessa Unione delle province ad avanzare proposte, a dirsi disponibile al criterio dei due requisiti su tre. «Ma siamo pronti a dare battaglia sugli ulteriori tagli finanziari previsti — avverte il presidente Upi, Giuseppe Castiglione — Nel 2012 già 915 milioni in meno e oggi si parla di ridurre il fondo di riequilibrio per le aree deboli di altri 500 milioni sul miliardo complessivo. Se sarà così, salteranno i servizi, salta tutto». Ma a saltare per prima, nelle previsioni del governo, sarà la metà delle attuali Province.
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