by Editore | 28 Luglio 2012 17:45
La mia città , nobilis et opulentissima urbs, quando già non era la più grande Taranto magno greca, una città ricca di storia, con un piccolo fiume lungo appena 900 metri sulle cui sponde i maggiori poeti della antichità hanno composto versi immortali abbagliati dalle bellezza dei paesaggi. Il nostro mitico fiume, il Galeso, che Orazio definiva «Ille terrararum mihi praeter omnes angulus ridet…» , violentato dagli scarichi e dalle esalazioni mortifere della grande industria.
Imbelle Tarentum, Taranto la pacifica, che ancora oggi conserva, a trenta chilometri dall’Ilva e grazie al favore delle correnti, mare pulito e spiagge bellissime, che potrebbe con la struggente bellezza dei suoi due mari essere consacrata tra le maggiori mete turistiche della penisola, Taranto, oggi stretta nell’assedio della legittima protesta dei ventimila lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro senza per questo, a cagione delle esposizioni nocive già patite, rischiare meno di perdere la salute e la vita.
Le strade e gli accessi alla città sono bloccati, tra i volti della gente si legge tangibile la disperazione, il senso dell’inevitabile. Perché i provvedimenti della magistratura erano annunciati e dovuti e nessuno ha fatto nulla dopo il 30 marzo, all’esito del deposito delle note risultanze peritali.
Probabilmente una tempestiva manifestazione di buona volontà da parte della politica e dell’azienda avrebbe reso più credibili le iniziative che, a giochi conclusi, da più parti si dichiara di volere intraprendere. È bene chiarire da subito che gli interessi dei lavoratori non coincidono e non possono coincidere con quelli del datore di lavoro. Gli interessi dei lavoratori sono plurimi quando non sono e non possono essere definiti collettivi: quello del datore di lavoro è sempre un interesse individuale e risponde al sacrosanto ma contrapposto diritto di iniziativa economica privata.
È bene, dunque, che i lavoratori rammentino che se deve esservi protesta, l’unica protesta legittima, consentita e protetta dalla Costituzione è il diritto di sciopero contro il datore di lavoro che ha inquinato e non contro i provvedimenti della magistratura o l’inerzia della politica. L’impresa è difatti una comunità intermedia tra lo Stato ed il cittadino, dove il cittadino lavoratore ha diritto di promuovere la sua ricerca di una vita libera e dignitosa, di realizzare al contempo il suo diritto alla salute ed il diritto alla retribuzione, dunque è una comunità intermedia dove dei problemi che accadono al suo interno è giusto che si faccia carico innanzitutto il datore di lavoro.
Del resto le acciaieria del gruppo Riva in Germania funzionano senza inquinare ed è tecnicamente possibile adottare da subito degli accorgimenti analoghi a quelli già adottati per risolvere il problema delle emissioni di diossina per ridurre l’impatto delle emissioni registrate dalla perizie della procura. Si tratta di rilevi ambientali compiuti sino al mese di luglio dell’anno scorso, ma non ci pare che sia stato fatto molto di ecocompatibile nel periodo successivo.
Detto questo, si deve rimarcare che il datore di lavoro sino a diciotto anni fa era lo Stato, l’Ilva era una società del gruppo Iri, non del Gruppo Riva, per cui anche lo Stato ha il dovere di metter mano al portafoglio ed il dovere di programmare e di favorire una alternativa economica alla siderurgia.
Suona sinistro il ricordo di Bagnoli, dove dopo la chiusura dello stabilimento da più parti fu annunciata la bonifica delle aree e l’impiego di manodopera in numero superiore a quello occupato in precedenza, senza però che alla predisposizione dei progetti sia mai conseguita la fattiva realizzazione delle promesse.
Imbelle Tarentum, che prova ad alzare la voce, e grida al vento, confidando che ancora una volta lo scirocco porti lontano i fumi delle sue ciminiere.
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